C 'è una domanda che in questi giorni occorre porsi e che, per via delle risposte possibili, preoccupa non poco per via di passate ed infelici esperienze. Riguarda - chiarisco - la vagonata di miliardi di euro che l'Europa dovrebbe mettere a disposizione del nostro Paese per suturare le ferite del lungo lockdown pandemico e per consentirgli una decisa ripresa. Ma quanti di questi miliardi - è la domanda - giungeranno qui in Sardegna per ridarle il fiato necessario per ritornare in marcia, visto che il coronavirus più che infettare le persone ne ha messo in ginocchio l'intera economia e determinato dei pericolosi scompensi sociali? Ed abbiamo poi noi delle proposte concrete e dei progetti validi da realizzare per riavviare l'economia ed allontanare la crisi?

Domande certamente legittime, giacché nella ripartizione di queste risorse sembrerebbe di capire che ad un bel pezzo del Paese, quello che sta al di sopra della linea gotica, potrebbe andare una bella fetta dei benefici resi disponibili dal Recovery Fund dell'Unione Europea. Quelle regioni che sembrerebbero avere predisposto una lunga lista di iniziative da prendere ed opere da realizzare.

Non così in Sardegna - ma anche in gran parte del meridione - dove di interventi di rilancio dell'economia (quelli che vorrebbe l'UE) non se ne vede l'ombra, mentre si prosegue (ahinoi!) nella ritrita logica assistenziale dei bonus e dei superbonus, cioè con dei semplici pannicelli caldi per dare dei momentanei sollievi all'incalzare delle difficoltà.

M a è proprio così? Saranno Veneto ed Emilia, ad esempio, le maggiori beneficiarie degli aiuti UE, mentre Basilicata e Sardegna rimarranno quelle più diseredate?

Sono domande di chiara valenza politica e che attengono a quel che è accaduto da una ventina d'anni a questa parte con l'abbandono di una priorità meridionalista nella ripartizione della spesa pubblica per fronteggiare diseguaglianze e diseconomie. Partendo dal fatto che il reddito medio di sardo e quello d'un veneto, ad esempio, sarebbe passato, nell'arco degli ultimi trent'anni (dai tempi cioè della Casmez), da una distanza di 20 punti percentuali agli attuali 40! Secondo una logica distorta che ha visto diventar più ricchi i già ricchi e più poveri i già poveri.

Appare così sempre meglio chiaro che il potere politico nazionale si sta sempre più settentrionalizzando, per via d'una differente gerarchia di leadership affermatasi nei nuovi partiti e movimenti. Per essere chiari, questo spostamento parrebbe determinato, più che dalla crescita in prestigio e carisma di nuovi validi leader, dal declino - divenuto sempre più evidente - delle rappresentanze politiche delle regioni meridionali. Con quella sarda, purtroppo, nelle posizioni di coda. Sempre più impreparata, oltre che incapace, ad avere una sua chiara visione su come operare per il rilancio dell'Isola.

La conferma la si potrebbe individuare nel differente gradimento riscosso dai diversi governi regionali: infatti, in una recente classifica di un istituto specializzato, nei primi dieci posti ben sei sono attribuiti a presidenti delle regioni del Centronord, mentre le cinque posizioni di coda sono tutte di spettanza di regioni meridionali o insulari.

Ora, al di là d'una chiara valenza politica, si tratta certamente d'una valutazione interessante, in quanto contiene un giudizio di merito sul grado di efficacia dell'attività svolta dai diversi presidenti nel governo della loro regione. Con il riconoscimento di un regionalismo virtuoso ed efficace operante nelle regioni del Centronord, ed uno, invece, ritenuto assai debole ed inefficace nel meridione.

Tra l'altro ancora non si capisce se, e come, si potrà disporre di quei fondi europei e sul come sarebbero eventualmente utilizzati. Forse, come dice qualcuno, ci si continuerà a baloccarsi in decisioni assunte sempre …salvo successive intese. Con l'aggravante che al momento non si vede all'orizzonte neppure un'idea veramente utile per risanare e rilanciare quel che, nell'economia e nel sociale, andrebbe risanato e rilanciato.

Tutto questo avviene - non bisogna dimenticarlo - in una situazione assai pesante e delicata: molte stime indicano per questo 2020 un bilancio pesantissimo con perdite sul prodotto interno del Paese che potrebbe raggiungere la decina di punti percentuali, con le conseguenze sociali assai inquietanti e pericolose che è facile prevedere. In questo scenario così poco ottimistico, la Sardegna rischia, fra l'altro, di pagare il prezzo più alto e gravoso, anche per le condizioni di estrema fragilità, di inconsistenze e di forte dipendenza della sua economia. Rifletterci sopra prendendo tutte le contromisure possibili non può che essere un obbligo ineludibile per tutti i sardi di buona volontà.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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