P er comprendere, e meglio valutare, quanto accaduto nella politica sarda per lungo tempo, ad iniziare dal secondo dopoguerra fino agli anni a cavallo di questo secolo, occorre ricordare come essa si fosse approvvigionata di grandi valori identitari: la fiamma regionalistica dell'Autonomia per scaldare una forte voglia di rinascita e di progresso. Nel senso, va precisato, che un autogoverno sempre più moderno ed efficace, ben vissuto nella cultura e nelle istituzioni, ed un deciso impegno per realizzare un efficiente ed autorigenerante risveglio economico, si sarebbero rivelati come i motivatori dell'azione di governo delle ventuno Giunte succedutesi nei 54 anni della Prima Regione, dalla presidenza di Luigi Crespellani (1949) a quella di Italo Masala (2003).

Ora, ad iniziare da quella che, per comodità anagrafica, chiameremo Seconda Regione (quella dei Governatori e delle coalizioni arlecchino), quei valori avrebbero perso molto della loro centralità, per divenire quasi degli accessori retorici, da musealizzare, per non doverne soffrire l'ingombranza.

Questo, in quanto il massiccio ingresso in politica dei movimenti sovranisti-nazionalisti, favorito dalla scomparsa dei partiti storici (Dc, Pci, Psi, etc.), avrebbe riproposto temi che sembravano superati, a partire da quelli che potrebbero definirsi post-unitari, a favore di un indefinito, ed indefinibile, modello di separatismo con vaghe formule di vantaggi.

N el sottolineare questi mutamenti, non si intende in alcun modo rivalutare tal quali le più significative “madeleines” proustiane della Prima Regione, quanto il dover riflettere sulla convenienza, o meno, di dover richiedere, o almeno sollecitare un'azione politica che ne riprenda e ne riscopra l'attualità, rammendandone gli strappi e ridisegnandone, ove possibile, il look complessivo. Perché è proprio questo il problema. Infatti, proprio per quel che s'avverte, di fronte alla volontà di dover andare oltre il regionalismo operoso degli anni '60/'70, mancherebbe del tutto la capacità di individuare i cambiamenti richiesti dai grandi mutamenti già avvenuti, od ancora in fieri al di là del mare, dal globalismo al glocalismo in economia all'avanzare delle tecnologie da robot fino alla scomparsa di molti dei brand ideologici della politica ottocentesca.

Sarebbe poi proprio quest'incapacità della politica (frutto di impreparazione o di distrazione dei suoi addetti), ad avere lo sguardo lungo, ad imprigionare la Regione sarda entro il terreno dell'ordinaria amministrazione, in quella che viene indicata come la politica dei mediocri, di chi è convinto che anche “asfaltar es gubernar!”, invertendo così, a proprio uso, il popolare precetto di Salvador de Madariaga.

D'altra parte a seguire le iniziative ed i mutamenti provenienti dagli attuali inquilini di villa Devoto, viene molta tristezza - ed anche un po' di sconcerto - per via dell'assenza di un filo logico che le colleghi ad un'idea ben definita di Sardegna, perché di un'idea qualsivoglia non se ne vede traccia, né se ne ha percezione dell'esistenza. Si continua ad andare avanti, giorno dopo giorno, agendo sul contingente con opere di rimedio, come un tempo si rammendavano i calzini. Non a caso le grandi problematiche autonomistiche sarebbero sparite dalle agende dei partiti e dei movimenti, confinate ad interessare solo studiosi accademici specialistici.

Così verrà sempre più difficile cogliere le differenze di visione fra un esponente e l'altro dei movimenti e dei partiti oggi presenti in Consiglio regionale. Ammesso che ne abbiano una tutta loro. Per cui il grande sogno utopico d'una Autonomia capace di traghettare l'Isola nelle terre del progresso attraverso un'esaltazione del suo ampio patrimonio identitario, lo si è visto ridurre all'hashtag #insularitàincostituzione, stabilendo almeno così un legame politicamente condiviso che può significare tanto per una crescita felice dell'intera comunità, ma anche un disperato grido d'aiuto agli altri italiani per non farci annegare nelle acque dell'isolamento. Ed è poi questa seconda lettura che preoccupa perché la si vede collegata a dei governi-bancomat (quelli della spesa corrente oggi di moda) dalla prospettiva ridotta all'emergenza con le ricorrenti scomposizioni/ricomposizioni degli assetti territoriali in tema di governance e di welfare, vera porta d'entrata ai fallimenti politici.

PAOLO FADDA
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