L a parola tedesca Heimat da tempo è consuetudinaria non tanto per un vezzo o perché non si trovi una degna traduzione quanto perché necessita di troppe precisazioni. Il suo senso ondeggia tra luogo dell'anima, patria, casa.

A un sardofono viene da connetterla a domo e alla sua sfera di significati dalla forte carica emotiva e sentimentale. Viene da pensarlo leggendo le lettere degli emigrati sardi ogni volta che si riferivano alla dimensione del paese e dei loro cari. Il desiderio di “torrare a domo” non implicava necessariamente la terra natia ma una patria elettiva, non individuabile nella sua matericità ma sempre abitata da un'intensa emotività. Heimat è il paesaggio dell'anima che Antonio Gramsci rievoca nella lettera alla madre il 29 febbraio 1932: «Dirai anche a Teresina che ringrazio lei e i suoi bambini per l'intenzione che hanno avuto di inviarmi le violette di Chenale e i bulbi di ciclamino selvatico, ma non posso ricevere i loro doni; ciò andrebbe contro il regolamento che vuole sia mantenuto il carattere afflittivo della pena carceraria. Dunque bisogna che sia afflittivo e perciò niente violette e niente ciclamini, nessun diavoletto della natura deve stuzzicarmi le nari con effluvi e gli occhi con i colori dei fiori».

Una descrizione magistrale in cui paesaggio visivo e olfattivo sono interdipendenti tra loro e con le percezioni consolidatesi nell'infanzia. Anticipazione della concezione del paesaggio recepita dalla Convenzione europea del paesaggio e dal Codice Urbani. Heimat è dunque anche intreccio di paesaggi storici e soggettività e averne conoscenza e consapevolezza alimenta immaginari individuali e collettivi. Altro dall'etnocentrismo che costruisce esclusione persino nel centro della città perché ci si ritrova, nativi e nuovi venuti, in luoghi stravolti dalla sciatteria e dall'incuria che diventano estranei alla quotidianità e all'immaginario.
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