N ella prospettiva della lunga durata oggi parrebbe di assistere a un risorto sardinian power; una sarda energia che non proviene dai decisori politici ma da un irriducibile e carsico senso popolare. Giovanni Lilliu lo definiva nazionalitario. Aggettivo che lasciava interdetti perché appariva regressivo e non piuttosto assai contemporaneo e interno al riconoscimento del vissuto della Sardegna. Mai mitopoietico: i suoi caratteri culturali, paesaggistici e ambientali smettevano così di essere alterità etnocentrica. Quell'aggettivo si fonda infatti sul concetto di valore e di unitarietà identitaria delle variegate geografie dell'isola. Altro dall'idea vernacolare che ha afflitto, ad esempio, il mondo agropastorale che di sé ha diversa percezione. Si riconosce mediatore tra passato e futuro che sopravvivrà se la contemporaneità, quel paesaggio, di cui la Sardegna è fulcro, lo saprà conservare e identificare i pastori quali suoi curatori. Giornate decisive, come ha scritto in queste pagine Mario Sechi. Di fronte all'Europa infatti una rappresentazione che rifiuta di trasformare quella cultura materiale in quinta scenica come accade nel kitsch dei carnevali allestiti da improvvisati decisori. Le significazioni della parola usata da Lilliu sono il vero cane da guardia di politiche perseveranti nel disconoscimento della Sardegna reale. Oggi della sua storia si sa molto. Perché stupirsi se in una scena nazionale un ragazzo, alto e bello, che in casa parla il sardo e in italiano ha l'accento milanese, rifugge da ogni connotazione etnica? Altri suoi coetanei sono presenti nella stessa scena come lo sono negli stessi schermi i parenti pastori. Rappresentano la nostra contemporaneità più di altri. Saranno forse loro a ricomporre quell'io diviso nelle colline di Cabras quando le statue divennero disiecta membra. Riunite testimoniano che gesti visionari sono possibili se si smette di specchiarci nello stigma di Cicerone che nel 54 a. C. difese Scauro, uno che truffò i Sardi derubandoli. Quelli che l'oratore definì mastrucati latrones partirono da Cagliari e fecero clamore a Roma; quell'alibi razzista, che «I Sardi, che discendono dai Punici grazie a un incrocio di sangue africano, non sono stati condotti in Sardegna come normali coloni ivi stanziati, ma come il rifiuto di coloni di cui ci si sbarazza» oggi si scontra con un'esplicita e rinnovata autocoscienza. Si spera.
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