A rriva Super Mario, con un colpo di scena. Arriva l'uomo di cui Barack Obama diceva “Chiamate Mario!”, l'uomo che impose il bazooka ad Angela Merkel (malgrado la resistenza strenua degli economisti tedeschi), «whatever it takes». Arriva l'uomo che fu designato in Europa da Silvio Berlusconi («L'ho fatto non una, ma ben due volte», ama ripetere il Cavaliere), mentre Matteo Salvini sostenne addirittura che sarebbe potuto essere un buon nome per il Colle, dopo aver combattuto la battaglia contro l'euro. Di lui persino Bruno Tabacci, con la sua nota pignoleria storiografica post-democristiana, ieri ha detto, con una memorabile digressione: «Io me lo ricordo bene, ancora ragazzo, quando entrò, da noi, nel gabinetto di Giovanni Goria, quando io ero nella Dc, nella corrente di Marcora».

Poesia e preistoria politica, giovani draghi e vecchi dinosauri: sublime. Ma persino a “Il Fatto”, Antonio Padellaro, quando già dieci anni fa iniziava questo gioco delle infinite paternità su Super Mario, faceva ridere tutti con una battuta che prendeva in giro gli aspiranti king makers di Super Mario: «Ehhhh... Io sono quello che l'ha notato per primo. Ero a scuola con lui a Roma, al Massimo. Dunque nessuno mi può battere». Cult.

Questo per dire che Draghi arriva in questa crisi come una invenzione politica di Matteo Renzi (che per primo in tempi recenti ha creduto nella possibilità di coinvolgerlo, come anti-Conte), e viene precettato come un “civil servant” che non puó sottrarsi alla chiamata di Sergio Mattarella.

E tutto, forse, avrebbe potuto spingere Draghi a sottrarsi, a cominciare dal fatto di essere un naturale candidato alla presidenza della Repubblica, che se si espone mette a rischio una designazione quasi unanime.

Ma siccome, come abbiamo visto, ci sono uno nessuno e centomila Mario Draghi, ieri ne abbiamo visto un altro ancora (rispetto a quelli già noti), quello che - con poche asciutte parole - ha accettato la rogna dell'incarico di governo. E anche quello che con la sua prima mossa da politico ha spiazzato tutti, incontrando - prima di iniziare le sue consultazioni ufficiali - il suo predecessore Giuseppe Conte.

Ovviamente era un colpo di scena: passavano poche ore, e si diffondeva la prima clamorosa indiscrezione, quella battuta dall'agenzia Dire, secondo cui l'ex governatore della Bce avrebbe offerto a Conte un posto da ministro degli Esteri e da vicepremier. Passavano pochi frenetici minuti dall'indiscrezione, nel Palazzo, e arrivava la seccata smentita di Rocco Casalino, portavoce uscente di Palazzo Chigi: «È destituita di fondamento l'indiscrezione - diceva Casalino - secondo cui nel corso dell'incontro si sarebbe parlato di incarichi di governo per il Presidente Conte». Buffo che il grande costruttore dei retroscena si dovesse già difendere da un primo retroscena ufficioso di Super Mario.

Ma questa è già la cifra di Draghi, la sua particolarità, che lo aiuta ad ambientarsi nel Vietnam in cui si è ritrovato, e malgrado il rischio di bruciarsi che sta correndo. Perché Draghi non è suadente e azionista come Carlo Azeglio Ciampi, non è ossuto e asburgico come Lamberto “Lambertow” Dini, non è autorevole e algidamente austero come il professor Mario Monti. È rotondo ed è duro, è concavo ed è convesso, è cattolico, è romano, apostolico e papalino, è figlio di Bankitalia ma è uomo di mondo, è sobrio ma fa anche battute sulla Roma, e questo alfabeto di diverse sfumature è la sua fortuna, perché senza queste doti chiunque altro al suo posto sarebbe già morto prima ancora di entrare nel pesantissimo campo da gioco di questa crisi.

Ecco cosa lo attende: gli ex giallorossi sono sul piede di guerra, il M5s si unifica sulla parola d'ordine del “No al banchiere”, Giorgia Meloni dice che lo aiuterà (ma dall'opposizione), Matteo Salvini gli pone condizioni sul Corriere della Sera, la prima delle quali è che se ne vada in primavera. Quello che rende forte Super Mario, però, è che la sola notizia del suo incarico ha abbattuto lo spread a quota 100.

Da oggi Draghi è in campo, non è più riserva della Repubblica, impegnato in una partita in cui un qualsiasi Mario, anche di rango, sarebbe già schiacciato dal peso. Un altro Mario che arrivasse dalle razionali e spietate discussioni nel Board della Bce sarebbe gravato dall'angoscia di tenere insieme una maggioranza che va dal no Tav Ciampolillo ai no euro come Borghi e Bagnai. Super Mario, invece non fa una piega. È lì, che combatte, con il sorriso sulle labbra. Ha un'agenda telefonica che va da Bruno Tabacci a Barack Obama, di giallorosso per ora ha solo il tifo. E quando gli chiedono come pensa di superare questi veti incrociati scherza: «Io sono un esperto di letteratura inglese».

LUCA TELESE

GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO
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