L a Sardegna è bianca. E questo colore non è quello della bandiera della resa, ma lo stesso della gloriosa maglia dello scudetto rossoblù: ovvero un bianco che diventa il simbolo di una grande vittoria. Un bianco che significa il contenimento del virus in cifre e parametri sostenibili: un bianco che rappresenta pulizia e rigore.

Adesso, però, per la seconda volta, questo successo pone un problema: come fa la Sardegna a difendere la migliore condizione epidemiologica di tutto il Paese? Ovvero: come si impedisce che un contagio “di ritorno” metta fine a questo invidiabile primato cromatico, anche con l'inizio della nuova stagione turistica? La scorsa estate la giunta Solinas, provó, senza successo, la via del passaporto sanitario ottenuto a mezzo tampone (obbligato). Si aprì un conflitto con il governo centrale, convinto che il passaporto fosse incostituzionale: giusta o sbagliata questa tesi, la misura venne percepita dal resto del Paese come un gesto discriminatorio (o addirittura ostile). Alla fine il contenzioso si chiuse con un nulla di fatto.

Fallita questa via, una circolazione senza controlli portò ai focolai della Costa Smeralda, e a una seconda ondata che partendo da quei focolai si diffuse in tutta l'isola, mettendola nella condizione peggiore mai vissuta dall'inizio della pandemia. Oggi, difendere il successo epidemiologico della Sardegna, significa trovare un nuovo modo per non ripetere l'errore del passato, per stabilizzare questa condizione senza aprire un contenzioso con Roma.

V uol dire creare una modalità di tutela, senza ripercorrere l'errore dell'estate 2020. E per raggiungere questo risultato, oggi, esiste una sola strada: il vaccino. Il caso Sardegna, dunque, ripropone in termini semplificati il problema che oggi dilania l'intera Europa. Servono le dosi, ne servono tante in poco tempo, e serve un piano vaccinale che riesca a rispondere in modo flessibile alle evoluzioni dell'epidemia.

C'è grande confusione sui quantitativi delle forniture che attendiamo, da quando le grandi industrie del farmaco non riescono a rispettare gli ordini delle dosi che si erano impegnati a garantire all'Unione europea. Allo stesso tempo sta nascendo un mercato parallelo - sul filo dell'illegalità - fatto di mediatori che (a caccia di grandi profitti) vendono, offrono e comprano stock di vaccini, come se fossero carichi di patate. La risposta migliore a questo fenomeno è quella che ha dato, nel vertice dei leader europei, il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi: «Alle case produttrici che non rispettano le forniture deve essere proibita l'esportazione». Questo è l'unico modo, infatti, che può mettere fine al mercato parallelo, e consentirci di contenere l'epidemia con un uso intelligente delle immunizzazioni. Il passo successivo è quello di ottenere la produzione su licenza, che consenta di aumentare i quantitativi disponibili per ogni Stato: e quindi far sì che con un numero adeguato di dosi si possa contenere l'epidemia, e difendere le zone bianche allargandole sulla carta geografica. Che questo sia realizzabile lo dimostrano i casi di Israele e della Gran Bretagna, che vedono già calare il numero dei contagi.

Ecco perché la Sardegna può chiedere di predisporre un piano vaccinale che la aiuti a difendere il colore che ha conquistato: non contro il resto d'Italia ma insieme a tutto il Paese. Infatti non si esce da questa crisi con il mercato del fai-da-te, come pensava di poter fare il Veneto, ma con un successo di tutta l'Europa. Usciremo vincitori dalla guerra dei vaccini se verrà sconfitto ogni mercato parallelo, e se a vincere saranno gli Stati che comprano i vaccini, e non i signori dei vaccini che si comprano gli Stati.

In gioco c'è qualcosa di più di qualche contratto: se l'Europa riuscirà a garantire le scorte di cui ha negoziato (e pagato) la fornitura, dimostrerà simbolicamente agli scettici - forse per la prima volta - che l'Unione può ottenere più di quello a cui può aspirare un singolo Stato. Solo così si può diventare tutti bianchi.

LUCA TELESE
© Riproduzione riservata