P urtroppo, ancora una volta, è andata come prevedibile: molto rumore per nulla. E il governo supera la doppia prova del voto in Parlamento.

Anche stavolta - dopo mille proclami di battaglia - il dibattito sul cosiddetto “Recovery plan”, e il voto sul Mes, sono andati in onda con lo stesso tasso di imprevedibilità di un film di seconda visione. Si è votato, con qualche dissidente nella maggioranza (12 tra i deputati del M5s) alla Camera, e con più consensi di quanto previsto a Palazzo Madama. E si è discusso, ad esempio a Montecitorio, dei soliti dettagli di tattica d'aula, come l'assenza al voto di Marta Fascina, deputata di Forza Italia, ma anche attuale fidanzata di Silvio Berlusconi. Questa diserzione è stata una dimenticanza, o un messaggio politico di disponibilità in filigrana al governo? La seconda che abbiamo detto, ovviamente.

Si discute del gran polverone sollevato in questi giorni da Italia Viva, che ha avuto il suo acuto mediatico nel duello tra leonesse di due sere fa (a “Otto e mezzo”) fra una agguerrita Lilli Gruber e una serafica Maria Elena Boschi. Ma alla fine i renziani hanno votato con il governo, come era preventivabile, portando però a casa il risultato (si fa per dire) di bloccare la cosiddetta cabina di regia. E che cos'era, questa sempreverde trovata della politica italiana, che ciclicamente riemerge, da una repubblica all'altra? Il tentativo di centralizzare a Palazzo Chigi alcuni poteri esecutivi per portare a casa con certezza i finanziamenti del Recovery Fund.

U n accentramento eccessivo? O addirittura un rischio per la democrazia, come hanno detto in queste ore la Boschi e Renzi? Non lo sapremo mai, perché per ora non si farà nessuna cabina, non ci sarà nessuna task force, e il rischio è che - come al solito - non ci sia nessun responsabile. Se mancheremo alla prova dell'Europa, per i fondi del dopo Covid, tutti avranno un alibi perfetto: Palazzo Chigi dirà “noi volevamo, ma non abbiamo potuto”, gli oppositori risponderanno “noi abbiamo vigilato, ma non pensavamo che sarebbe andata così”.

Chi di voi ieri avesse avuto il fegato di ascoltare l'intero dibattito parlamentare alla Camera o al Senato, avrebbe forse avvertito questa strana sensazione che comunica la politica di questi tempi, quando sembra diventare solo un gioco di ruolo, in cui tutti recitano la loro parte, e in cui nulla accade. Al Senato, dopo settimane di pallottoliere, la maggioranza giallorossa ha portato a casa 156 voti (parecchi in più del previsto) e nessuno tra gli analisti ha davvero mai pensato che potesse andare sotto.

Ogni partito si è posizionato, ogni leader ha trovato il modo di fare le sue battute, tutti si sono presi il loro punto di verità, e persino Giuseppe Conte - che ripete «sono tranquillo» - potrà dire che ha provato questa mossa azzardata perché voleva aver certezza di non perdere nessun treno. Dietro le metafore immaginifiche, registiche e addirittura belliche, come quella della fantomatica task force (che per ora non vedremo in campo, né a Palazzo Chigi né da nessuna altra parte), c'è il rischio eterno dell'inconcludenza all'italiana, un male che ci trasciniamo dietro sempre più stancamente, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria e che precede un ben triste Natale.

Tutti sappiamo che nel momento della prova, nei prossimi mesi, questo Paese rivelerà tuti i suoi difetti fatali ed endemici. Ministri e governatori che gonfiano il petto (ma poi ai cittadini non arriva nemmeno il vaccino anti-influenzale mentre a Londra stanno già somministrando quello contro il Covid della Pfizer), commmissari e sub-commissari che si avvicendano come trottole (in Calabria abbiamo assistito alle estrazioni del lotto per nominarne uno), rimpalli di responsabilità, conflitti istituzionali.

Io non so se i “superpoteri” che Conte si era attribuito nella prima bozza del decreto (affondata ieri dalla guerriglia dei renziani) fossero l'unica via per raggiungere l'obiettivo di non perdere gli euro-finanziamenti. So che dobbiamo portare a casa 209 miliardi, superare i veti annunciati di Polonia e Ungheria in Europa (anche se qui si profila un compromesso con la Germania), e che ci presentiamo con il solito quadro istituzionale terremotato.

Per evitare l'impressione di questo eterno balletto di pura immagine, forse, bisognerebbe indicare soluzioni alternative. Quelli a cui non piacciono la cabina o la task force, e i superpoteri, dovrebbero dire quale strumento operativo sarebbe più opportuno. Perché l'unica prospettiva inaccettabile è quella che dopo essersi divertiti con il teatrino dei dibattiti all'ultimo voto, alla fine, perderemo i treni che stanno partendo. Questo sì che sarebbe un crimine.

LUCA TELESE

GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO
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