A lla fine Giuseppe Conte si è dimesso, e tutti si chiedono cosa accada nelle prossime ore: se diventerà un Ter (varando un terzo governo) o un ex (costretto ad abbandonare Palazzo Chigi), se tornerà, ancora una volta, o se saluterà il governo per sempre.

Qui, cari lettori, serve un'avvertenza tecnica. Quando si apre una crisi - purtroppo - la si può spiegare solo con gli strumenti di analisi del politicismo, a volte anche il più bizantino. E quindi farò uno sforzo per provare a chiarire, in termini semplici, che questa adesso è diventata una complicata partita a quattro. In primo luogo perché adesso in campo non ci sono più solo i due duellanti che hanno prodotto la rottura nella maggioranza giallorossa - lo stesso Conte e Matteo Renzi - ma anche perché scopriremo presto le reali posizioni che dovranno adottare i due principali partiti della coalizione e i loro leader (e dunque Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti) chiamati oggi a scelte definitive. Adesso nessuno di questi protagonisti può bluffare più. E quindi fra questi quattro soggetti, da questa crisi qualcuno dovrà necessariamente uscire sconfitto, o smentito nei suoi proclami di partenza (che poi è la stessa cosa).

Provo dunque a fornire, a voi lettori, gli elementi per fare il tampone ai politici. Cominciamo con ordine. 1) Il presidente del Consiglio disse: «Se Renzi esce dal governo, deve sapere che non ci potrà rientrare». Era un punto non negoziabile o una minaccia tattica - dunque un bluff - per spaventare l'avversario?

L o capiremo presto, e su questo nodo Conte si gioca il suo futuro politico. A seconda che finisca a Palazzo Chigi, o nell'arena politica con un suo partito, la coerenza con quella promessa può diventare per lui un punto di orgoglio (se non cede) o un tallone di Achille (se se la rimangia).

2) Matteo Renzi: il leader di Italia viva ha detto, anche solennemente, alla sua maniera: «Se non riesco a mandar via Conte devo davvero andarmi a nascondere su Marte». Il che significa che se nasce il Conte Ter e Italia Viva ci entra, Renzi perde la faccia, pur mantenendo la ribalta, le postazioni di potere e il suo gruppo compatto (peró poi deve andare davvero su Marte). Ma vuol dire anche che nelle consultazioni può disporre di un'arma a doppio taglio: fare lui un altro nome per Palazzo Chigi. Ieri, alla Camera, circolavano due ipotesi: la prima era quella di Pierferdinando Casini, che aprirebbe lo scenario di un governo di tipo istituzionale allargato, anche con elementi e forze di centrodestra. La seconda - più levantina e raffinata - è quella che il leader di Italia Viva, per tumulare Conte, proponga, per Palazzo Chigi, un nome del M5s. E quindi quello dello stesso Di Maio, o del ministro Stefano Patuanelli. E qui si vedrà, dunque, 3) se i leader del M5s resisterebbero alle sirene leopoldine, sapendo che Renzi farebbe loro ponti d'oro.

Infine il Pd: Goffredo Bettini (il consigliere del segretario) e Andrea Orlando (il numero due del partito) avevano detto entrambi (come del resto gli uomini del M5s): 4) «O Conte, o il voto». E Zingaretti aveva aggiunto: «Se si va al voto sarà colpa di Renzi». Questa impostazione, per la segreteria e i suoi uomini, produceva uno scenario win-win. O il Pd vinceva difendendo il “suo” premier preferito, o vinceva arrivando al voto, con la possibilità di ricostituire dei gruppi più fedeli alla linea del segretario. Ma su questo punto alcuni dissensi importanti sono emersi nel gruppo dirigente. Ieri, quello più clamoroso, del ministro Lorenzo Guerrini («Renzi sbaglia, ma è tempo di costruttori, e bisogna inserirlo nella maggioranza»). E poi quello della ex ministra Marianna Madia: «Non c'è solo Conte, bisogna verificare le possibilità di una maggioranza con Renzi». La spiegazione di questi strappi è semplice: molto dei parlamentari eletti con l'uomo di Rignano (Guerini e la Madia sono suoi ex sostenitori) sanno che non torneranno più alla Camera e al Senato (sono solo il 14% nei nuovi equilibri del partito, ma il 50% in Parlamento) e quindi vedono il voto come un dito nell'occhio. Tutte scommesse difficili, scelte che portano a vincere o a perdere. Dopo le consultazioni, venerdì sera - se ritagliate questo articolo - potrete fare voi stessi il test per scoprire chi tra i duellanti ha il virus più antico della politica. Quello che li spinge a raccontare balle.

LUCA TELESE
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