I l governo è passato alla Camera con 321 voti, molti più del previsto, incassando alcuni consensi inaspettati (a partire da quello dell'ex berlusconiana Renata Polverini) e il voto di due deputati che fino a ieri stavano in Italia Viva (Vito De Filippo e Michela Rostan). Ma non fatevi ingannare: è solo il primo tempo di una partita lunga, difficile e spietata, in cui non si faranno prigionieri. «Adesso si volta pagina», aveva detto Giuseppe Conte nel suo discorso alla Camera, ed era il riferimento più elegante, ma anche più duro, al rapporto con Italia viva.

C hi si aspettava delle esibizioni muscolari, o delle invettive, forse è rimasto deluso. Chi pensava che con Matteo (Renzi), Conte avrebbe usato la stessa durezza adoperata con l'altro Matteo (Salvini), forse è rimasto stupito. Non è stato un Superman vendicatore, quello che abbiamo sentito in Parlamento nel giorno in cui si sono aperte le danze. Non era l'avvocato del popolo che flirtava con il glossario del populismo nel 2018. E nemmeno il guerriero che un anno dopo duellava con gli spiriti del Papeete. Quello di ieri era un leader diverso, che usa il cervello, il cuore (e soprattutto l'astuzia): non i toni barricaderi e ultimativi della terza repubblica, dunque, ma quelli che attingono all'arsenale dell'antica cultura democristiana della prima, sempre caustica, anche quando apparentemente sembra soporifera.

Tuttavia non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: in quella pagina pesante che si gira, nel libro complesso della adrenalinica cronaca politica di queste ore, c'è scritto che fra Conte e Renzi non c'è possibilità di conciliazione. La sfida di oggi, al Senato, è la partita della vita per entrambi. E i due duellanti hanno un obiettivo diverso da raggiungere per potersi proclamare vincitori. Renzi ha bisogno di ottenere un risultato immediato e ultimativo: con la sua manovra deve riuscire a far cadere il governo. E non solo perché ha aperto questa crisi dicendo «se non riesco a tirare giù Conte devo andare davvero a nascondermi su Marte». Ma anche perché se la maggioranza giallorossa riuscisse a incassare la fiducia, il potere di attrazione e il richiamo sul suo partito crescerebbe, con il proseguo della legislatura, probabilmente fino a svuotarlo. Mentre a Conte - invece - basta una voto in più di maggioranza, per mettere al tappeto l'avversario nell'immediato (anche se non dovesse ottenere una maggioranza assoluta). Poi il tempo lavorerà per il presidente del Consiglio. Perché Renzi ha annunciato che voterebbe comunque a favore del governo sui ristori, e ovviamente sul Recovery plan (ovvero sul motivo che lo ha portato ad aprire la crisi).

Quindi è una sfida che ha un carattere asimmetrico: per Conte l'asticella adesso è alta (sostituire la defezione di ben diciotto senatori), e c'è il rischio di cadere anche solo per una defezione. Ma se passa a Palazzo Madama, la strada per lui diventa in discesa, e si conquista il diritto ad una seconda puntata. Mentre per Renzi, come per ogni giocatore di poker è una sfida one-shot. Ovvero: o vince o perde, in una mano sola. Non c'è prova di appello. O è determinante per far cadere il governo, o è condannato all'irrilevanza, confinato in uno scomodo (per lui) ruolo di leader di opposizione, al fianco della destra di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini.

È stata una crisi strana: condotta a passo di danza sul terreno minato della pandemia. Ma è una crisi che stasera si risolve, in un modo o in un altro.

Conte rischia: se perde avrà ancora un ruolo. Ma non necessariamente un ruolo da attore protagonista. Anche Renzi sta rischiando molto, anzi tutto: se riesce “a tirare giù Conte”, come proclamava, diventerà l'azionista di un nuovo governo che nasce grazie a lui. Se non ci riesce, come nella profezia che lui stesso ha evocato, dovrà davvero andare a nascondersi su Marte. Un buon giocatore di poker può perdere alcuni piatti: ma non può perdere tutti i rilanci importanti della sua carriera.

LUCA TELESE

GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO
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