M i capita spesso di partecipare ad eventi, riunioni, dibattiti. Passano gli anni, cambia il contesto ma alcune frasi non cambiano mai. Una di queste è che la Sardegna è al centro del Mediterraneo. E quindi dovrebbe godere di tutte le opportunità che il mare nostrum ci offre. Anche in un recente incontro, la stessa frase è stata ripetuta. Tanto che alcuni immaginavano di consegnare al prossimo governo regionale la delega al Mediterraneo, così da aprire, finalmente, un libro di cui conosciamo solo il titolo perché, da anni, al suo interno, le pagine sono bianche, ancora tutte da scrivere.

L 'idea non è peregrina, visto che i governi regionali sardi, che pur hanno gestito importanti programmi di cooperazione euromediterranea (come Interreg Next Med, attualmente operativo con 15 Paesi coinvolti e 253 milioni di euro di fondi europei) vanno molto pungolati sull’argomento. Ma non si può ridurre tutto a qualche iniziativa sporadica, funzionariale, con poca o nessuna ricaduta sul nostro territorio. Sarebbe infatti come delegare ad un amministratore locale la propria emancipazione culturale, la quale, invece, deve partire da noi stessi.

Facciamoci infatti delle domande, alcune scomode. Quanti di noi hanno interlocuzioni di qualsivoglia natura con persone che, ad esempio, vivono nei tre grandi Paesi africani più vicini alla Sardegna nel Mediterraneo, cioè Tunisia, Algeria e Libia? Quanti di noi hanno banalmente nella propria rubrica telefonica numeri di telefono di persone in quei Paesi? Quante volte un giornale o un telegiornale locale apre con una notizia che riguarda Tripoli, Algeri o Tunisi? Quanti di noi conoscono le lingue parlate in quei Paesi, e cioè l’arabo, il berbero o anche solo le lingue europee coloniali che quelle popolazioni hanno dovuto subire (come il francese)? Qual’è il grado di reciproca integrazione delle nostre società? E quanti tunisini, libici, algerini vediamo operare con e dentro i nostri uffici, pubblici o privati? Non accade invece più spesso, se non sempre, che molti di essi, che non conosciamo e non conosceremo mai, passino le loro giornate a invitare i guidatori a trovare posto nei nostri parcheggi?

Se provassimo a rispondere a queste domande capiremmo forse che la nostra centralità nel Mediterraneo è ancora del tutto illusoria, perché siamo centrali, sì, geograficamente, ma non lo siamo culturalmente. La nostra posizione è passiva, inconsapevole e finisce col farci diventare bersaglio della sola immigrazione povera e disperata, senza metterci in condizione di cogliere nessuna delle grandi opportunità che il Mediterraneo potrebbe offrirci. Per contro, l’Italia (in genere), la Sardegna (in particolare), continua ad avvitarsi in un profondo provincialismo, nel quale si finisce sempre per parlare di sé stessi, dei propri microcosmi politici, professionali e sociali, guardando al proprio ombelico. Dovrebbero essere invece tutti i sardi e con loro gli enti, pubblici e privati, isolani ad ogni livello, a fare uno sforzo di relazione con i loro omologhi dei Paesi del Mediterraneo, al fine di stabilire connessioni ed anche forme di integrazione reciproca che possano portare quella centralità che tanto declamiamo ad essere effettivamente praticata.

Insomma, bene istituire un Assessorato o anche solo una delega, a livello regionale, ad occuparsi di Mediterraneo ma la nostra centralità, in questo mare, può venire solo da un risveglio culturale che la società sarda deve maturare ad ogni livello e non può essere certo delegata ad un singolo amministratore locale. Altrimenti quei quattro mori (i re saraceni sconfitti dagli aragonesi ad Alcoraz) resteranno appesi nella nostra bandiera, come ico ne di un nemico da cui guardarsi. Questa centralità continueremo a raccontarcela, ad evocarla, alla vigilia delle elezioni. Ma resterà solo un esercizio retorico, sempre uguale a sé stesso.

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