E ravamo rimasti al pallone sopra qualsiasi cosa. Una Terra parallela attorno alla quale stava girando tutto: flussi finanziari incontrollabili, club storici a capitale straniero, faranoici progetti edilizi in corso d'opera, contratti da un milione (al mese), il grande circo che si animava spesso anche a causa di un piccolo monitor piazzato fra le due panchine. Preistoria. È bastato un nemico invisibile per dissolvere tutto in pochi giorni, perfino la Champions League o l'Europeo assomigliano a quelle vecchie e polverose scatole di Risiko e Monopoli. Sì, il calcio - quello del tifo, dei grandi gol, delle facce di sport - ci manca, era e resta un'attrazione fatale. Ma in questi ultimi due mesi, i più duri di questo secolo, è stato difficile solo pensarci, a quel pallone, alle curve, alle maglie celebrative e a tutto il resto. Anche i tentativi, dapprima timidi e poi sempre più urlati, dei club di Serie A di ricominciare a correre, beh, sono apparsi fuori contorno. Daremo il bentornato al calcio fra poco, così sembra, ma senza la gente allo stadio. Rivedremo i ragazzini con le maglie dei campioni e loro, i giocatori, alcuni toccati da vicino dalla malattia e dalla paura, avranno il delicato compito di riportare l'Italia a una dolce normalità. Quella che tutti stiamo cercando. Ma con meno frenesia e più cuore.
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