R igore sì, rigore no. Il pareggio che sfuma, la sconfitta che diventa un buco nero dove specchiarsi. Quello che poteva essere e non sarà mai. No, non è questa la realtà del Cagliari, di una squadra che non è solo una delle venti del campionato di calcio di Serie A. Sabato sera, contro la Juventus, padrona del calcio italiano e destinata a diventarlo in Europa, abbiamo assistito a una lezione di calcio. Sia chiaro, non di Maran ad Allegri, ma del tecnico di Trento a chi ama questo sport. Ti presenti in uno stadio straordinario, davanti a un colosso da 783 milioni di euro (il valore dell'organico bianconero), fai la tua partita, giochi senza gettare il pallone in tribuna, vai sotto, non smetti di lottare e risistemi la sfida. Poi c'è sempre l'imponderabile, un giocatore di caratura internazionale come Bradaric che finisce nel frullatore, facendoti sbandare.

Ma il Cagliari, che pesa appena 112 milioni di euro nella bilancia della Serie A, non ha spento la luce, come avrebbe fatto chiunque sotto le luci dell'Allianz che sembra di stare a Las Vegas, con la gente a due metri dal campo e davanti a una formazione di mostri. No, la lezione di Maran e del Cagliari - a tutta la Serie A - è cominciata in quel momento, tutti insieme, mano nella mano, un unico gigantesco giocatore con la maglia rossoblù, lì in mezzo a remare, a non mollare di un metro. La Juve ha rallentato, magari ricordandosi che mercoledì, su quello stesso prato, ci sarà il Manchester United. Ma lo ha fatto perché davanti c'era una squadra che riesce a non farti respirare (...)

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