« N on eravamo noi». Beh, qualcuno sarà stato, a mettersi la maglia rossoblù, grondante di storia e passione, e a giocare l'altra sera all'Olimpico. È facile e comodo nascondersi dietro una giornata sbagliata e pensare subito al riscatto, può agevolare la botta, che da fuori - lo diciamo forte e chiaro - è stata di quelle robuste. Come quando prendi uno schiaffo da tuo padre (ma ora non si usa più) e in testa senti solo le farfalle.

«Non eravamo noi». Il Cagliari visto a Roma, sabato sera, è sembrato già in vacanza, proprio nell'anno in cui in vacanza non si va, sotto le feste. Ci sarà tempo a gennaio, fra Dubai e la California, ma ora - mercoledì e sabato, per la precisione - siamo in piena stagione. Niente panettone e spumante, ma tanto campo e soprattutto testa: la Lazio poteva farne sei, contro un gruppo che sbandava, perfino a corto di “gamba”, incapace di imbastire una reazione decente, da Serie A. La Lazio, un pianeta in perenne tormento, con i tifosi che ogni due per tre attaccano la società e i giocatori, dove mister 100 milioni (Milinkovic) segna e scoppia in lacrime, istantanea fedele di una pressione insostenibile. La Lazio, tutt'altro che inarrestabile, ma con un organico possente, costruito per puntare alla qualificazione in Champions, il vero Bancomat del calcio. Si, vabbè, poteva starci un rigore per il Cagliari, ma il concetto non cambia.

A proposito di organico, il Cagliari ne aveva uno robusto. A parte alcune lacune molto evidenti (...)

SEGUE A PAGINA 51
© Riproduzione riservata