A utonomia, sovranità, federalismo, devolution sono solo alcune delle parole utili ad indicare un fenomeno: la voglia di decidere, autodeterminarsi, avvicinare i centri decisionali ai destinatari delle scelte. È un modo per testimoniare la propria esistenza, la propria storia, cultura, identità.

A volte, questo desiderio prelude ad altro, come accade quando, stufi degli sprechi di uno Stato centrale inconcludente e spendaccione, i territori tentano di trattenere a sé le proprie risorse. A volte accade il contrario. L'identità viene brandita per ottenere più risorse dal centro, altrimenti - si dice- essa verrebbe dimidiata, svilita. Così accade che l'identità diviene strumentale, financo pericolosa, come ha ricordato Amartya Sen nel suo bel libro “Identità e violenza” (Laterza 2008).

Anche il repertorio delle icone autonomiste è ricco e eterogeneo. Basti ricordare le provocazioni leghiste dell'assalto al campanile di Venezia, delle tre macroregioni di Gianfranco Miglio (Padania, Etruria, Ausonia), le marce sul Po, l'idea dei ministeri al nord sino alla riforma del Titolo V della Costituzione. Ne è scaturito un valzer paradossale: Province sì, Province no, aree metropolitanee, unioni di Comuni. Non parliamo poi delle Comunità montane, soppresse in qualche Regione, reintrodotte in qualche altra, in stato di quiescenza in altre ancora.

Certo, l'assetto del territorio pensato da Napoleone, con Province e Prefetture, ognuna con una sede della Banca d'Italia, va rivisto e ottimizzato. Ma qual è la via? Le 8 province sarde? Le 2 province e i 136 Comuni del Molise, con appena 300 mila abitanti? O possiamo prendere ad esempio l'Isola d'Elba, con i suoi 31 mila abitanti, che meno di un anno fa ha voluto preservare, con un referendum, i suoi otto comuni, con altrettanti municipi, giunte, consigli comunali?

E poi c'è il federalismo economico, con banche, fondazioni, associazioni di categoria, Camere di commercio, più spesso vittima delle logiche spartitorie della politica locale che vero motore di aggregazione.

Sullo sfondo: l'Europa e la progressiva rarefazione dello Stato nazionale. Si apre così la sconfinata prateria del villaggio globale, con crescenti, pressanti interrelazioni tra comunità e territori di tutto il mondo. Noi però ci apprestiamo a percorrere questa prateria senza adeguati livelli di governo intermedio che consentano alle nostre comunità, alle nostre piccole e medie imprese, ai nostri territori, con il patrimonio ambientale, culturale e produttivo di cui dispongono, di dialogare e competere sullo scacchiere globale.

Graziano Del Rio, nel suo recente volume “Città delle persone. L'Emilia, l'Italia e una nuova idea di buongoverno” (Donzelli 2011) prende a modello le città. Ma bastano? Quali altri corpi intermedi, magari collegati in rete, riusciamo finalmente a concepire per collegare le comunità, anche quelle più piccole, altrimenti destinate allo spopolamento, con i livelli, ormai almeno europei, della politica e dell'economia? Negli anni ottanta in Europa v'era solo uno Stato federale: la Germania. Oggi, il 40% della popolazione della UE vive in Stati federati e molte altre forme di governo intermedio si stanno affermando.

E noi? Riformiamo nuovamente il Titolo V della Costituzione? Andrà pur bene rivedere le materie di potestà concorrente per riaccentrare grandi opere ed energia in capo allo Stato ma non senza portare a compimento una riforma complessiva dei livelli di governo intermedi che sappia efficacemente rappresentare le istanze di comunità e territori; specie quelli del Mezzogiorno ove manca una rete imprenditoriale forte e capillare e risultano quindi più fragili e indifesi. Insomma, dobbiamo ripensare alla svelta la dimensione intermedia della nostra società assicurando rappresentanza, progettualità e sviluppo. La politica locale, dal canto suo, se vuol rivendicare ruoli e funzioni, impari ad autolimitarsi (self restraint), la smetta di accontentare appetiti individuali, collocamenti, cooptazioni e metta tutte le risorse al servizio della progettualità, della formazione e delle infrastrutture.

Aldo Berlinguer
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