C i siamo arrivati. Le violenti proteste di queste ore lo gridano forte e chiaro: i diritti in gioco hanno raggiunto un contrasto insanabile. Diritto alla salute e libertà fondamentali (alla vita di relazione, all'iniziativa economica, alla mobilità, ecc..) non sembrano più conciliabili e, nello scontro, qualcuno di essi deve essere sacrificato, con tutto ciò che ne consegue.

Ancor più inquietante è il punto di rottura: lo Stato. Il quale non è più in grado di mediare (tra libertà positive e negative) ma anzi alimenta lo scontro.

I l sistema pubblico non ha infatti saputo prevenire la pandemia, non sa gestirla e non riesce a contrastarla. Per far ciò è quindi costretto a riesumare una tecnica vecchia come il tempo, la quarantena (la usò nel 541 Giustiniano contro la peste bubbonica) che non lascia speranza: sacrifica, come la prigionia, ogni libertà.

Lo Stato (non solo italiano) dichiara quindi il suo fallimento in una Caporetto che deve farci riflettere. E dovrebbe indurre i manifestanti a non confondere causa con effetto: affermando che il virus non esiste o non è letale. Così come dovrebbe indurre gli esponenti pubblici a mettersi in gioco: ricorrere alla quarantena significa infatti non aver bisogno di un sistema pubblico (e neppure di un sistema sanitario). Semplicemente si previene l'infezione sopprimendo le funzioni vitali del paziente.

Insomma, dovrebbe indurci, questa situazione, ad aprire gli occhi e a chiederci che senso abbia un siffatto sistema pubblico e in quali altri settori esso manifesti la sua incapacità. Forse capiremmo che molti mali, a cui ci siamo rassegnati, non sono eventi di natura ma effetti della stessa causa.

Detto questo, proviamo a guardare avanti, imparando dal passato. Avevano ragione gli inglesi quando dissero che l'unica cura contro il Covid-19 era l'immunità di gregge. Peccavano solo di realismo e sottostimavano gli effetti psicologici di quella affermazione, che si sarebbero rivelati peggiori del male.

Oggi però che questo è evidente perché continuare a fingere? Perché con decine di DPCM, adottati nei weekend, alimentare le incertezze e le angosce della gente? Perché, dinanzi ad un lungo inverno appena iniziato e senza rimedi farmacologici, non varare invece misure (ancorché dure) stabili e chiare per i prossimi mesi?

Ad esempio: se la finalità è quella di tenere bassi i contagi e non congestionare gli ospedali (il che, in guerra, equivarrebbe a mandare i civili al fronte per risparmiare l'esercito), perché non imporre un lockdown, in tutto il Paese, solo nella prima settimana di ogni mese, allentando i vincoli nelle altre tre? Una simile misura verrebbe infatti subito assorbita da famiglie e imprese come un sacrificio sostenibile ed avrebbe l'effetto di contenere i contagi senza uccidere l'economia nazionale.

È vero, sarebbe come riconoscere un paradosso: sono i cittadini al servizio dello Stato e non viceversa. E confessare l'inconfessabile: il fine non è evitare i contagi ma solo rallentarli. Ma l'alternativa, vista la crescente tensione sociale ed il rapido impoverimento del Paese, mi pare di gran lunga peggiore.

ALDO BERLINGUER
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