S i parla tanto di Recovery plan come un irrinunciabile nuovo Piano Marshall, per ricostruire benessere e prosperità. La vulgata è nota, meno il merito della questione che è invece assai insidioso, attesa la cospicua dotazione economica (fino a 310 miliardi di euro, tra risorse statali e UE), di cui solo una parte a fondo perduto, con una distribuzione orientata per circa due terzi al sistema pubblico e un terzo a quello privato. Il nostro Paese è infatti tristemente noto, tra gli altri, per alcuni dati: debito pubblico fuori controllo, ad oggi oltre il 160% del Pil.

Va aggiunta poi l'incapacità di spesa dei fondi europei (siamo fermi al 38%, secondo la Corte dei Conti); la lentezza nel pagamento dei debiti della PA (con relativa condanna della Corte UE) e l'incapacità di realizzare le opere pubbliche. Limitiamoci, per un attimo, a quest'ultimo aspetto. Basta entrare nel sito web del Sistema Informativo di Monitoraggio Opere Incompiute (SIMOI), del Ministero delle Infrastrutture, per scoprire che in Italia, al 2019, esistono oltre 400 opere incompiute. Buona parte di esse non vedrà mai la luce poiché risultano “non conformi al capitolato e al progetto esecutivo”, per cui non sono collaudabili. Molte altre, da decenni in fase di progettazione, non verranno mai realizzate; tuttavia i fondi stanziati non vengono ridestinati ma restano anch'essi vincolati per anni. Nessun amministratore vuole infatti riconoscere il fallimento dell'opera e tiene bloccati i fondi sino alla fine del suo mandato. Se la vedranno le nuove generazioni. Non è quindi colpa di nessuno: dipenderà dal codice degli appalti, dalla burocrazia, dall'Europa. Peccato però che, a regole invariate, non tutto il mondo è paese. Infatti, nella classifica del SIMOI, figurano le Province di Trento e Bolzano, con zero opere incompiute, il Friuli (con una), l'Umbria e la Valle D'Aosta (con due). Mentre in fondo alla classifica ci sono Sicilia (con 134) e Sardegna (con 66 +1) ben distanziate da tutte le altre, con meno di 30 incompiute ciascuna. Guardando meglio si scopre che, in Sardegna, due reparti dell'ospedale di San Gavino Monreale, pur completati, non verranno collaudati; la riqualificazione del plessi per malattie infantili e per terapie intensive dell'Ospedale di Sassari, costati oltre due milioni di euro ciascuno, non è stata completata; i sistemi idrici della dorsale del Sulcis e di Mannu Cixerri, destinatari di oltre 13 e 6 milioni di euro ciascuno, sono fermi da anni; la diga di Cumbidanovu, ad Orgosolo (55 milioni di euro), non è fruibile; il completamento dell'area industriale di Cagliari (17 milioni di euro) non è stata eseguita. E così anche per scuole (Nuoro), asili (Thiesi), caserme (Villaputzu), strade (SS.127), case studenti (Oristano), parchi (Sennori e San Sperate), canili (Ozieri) e tante altre. Viene dunque da chiedersi: perché chiedere a prestito fondi europei se non riusciamo a spendere quelli già stanziati? Quali nuove opere a fronte della miriade di incompiute che abbiamo? Non ci troveremo ad aggiungere incompiute a incompiute? Torna in mente il mito di Sisifo, che portava il macigno sul monte, lo faceva cadere, tornava a valle. E rincominciava tutto daccapo.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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