T anto tuonò che piovve. Come d'abitudine, dopo aver votato per anni parenti, amici e personaggi del Grande Fratello, gli italiani ricorrono al tecnico di turno, chiamato a riparare i guasti della politica populistica e clientelare del nostro Belpaese. Come al solito, sono i politici stessi, giunti al capolinea, a fare spazio al tecnico, salvo poi, dopo i primi passi, iniziare a lavorarlo ai fianchi, con richieste, critiche e interdizioni varie.

Questa volta è capitato a Mario Draghi che, sul piano professionale, ha un curriculum di tutto rispetto: non c'è che dire. Ma non è il solo. Anche Dini, Prodi, Monti erano tecnici molto autorevoli e stimati. E ciò non ha certo cambiato le nostre abitudini e il loro destino. E così, al nuovo arrivato, con all'attivo una formazione e ruoli di primo piano, a livello internazionale, vengono subito posti veti e condizioni di ogni genere. Per non perdere il controllo, in molti invocano un Governo politico: ciò che, in politichese, significa ministri, viceministri e sottosegretari. Cioè si chiede al tecnico di fare di testa sua ma non troppo, non sia mai che prenda troppo potere, e lo eserciti pure.

La politichetta italiana non ama infatti perdere potere perché da quel potere (non già dalle proprie idee) trae nutrimento. Se le si impedisce per troppo tempo di largire benefici ai propri elettori, si rischia che questi ultimi si disamorino e che alle elezioni votino qualcun altro. Meglio quindi usare il curriculum altrui per rassicurare gli italiani ma partecipare al potere per fare scelte proprie.

L 'abito non fa il monaco, dice il proverbio. In effetti, anche in questo caso, il monaco è lo stesso. Ma cerca di nascondersi nell'abito altrui.

C'è quindi da sperare che, nel disperante gioco degli equilibri parlamentari, l'autorevolezza di Draghi riesca ad affermarsi, limitando al massimo i condizionamenti e imprimendo al Paese un reale cambiamento. Ma la strada è stretta e si snoda tra due fuochi. Da una parte un governo tutto tecnico, con maggior visione e progettualità ma minore e più fragile sostegno parlamentare. Dall'altra un governo politico con maggior sostegno in parlamento e minor inclinazione a cambiare il Paese.

Comunque vada, il sentiero è irto e accidentato. E le maggiori insidie non vengono dalla pandemia, dalla recessione, dall'arretratezza del nostro Paese ma da coloro che sono stati votati per governarlo. Torna quindi in mente la nota, dibattuta questione: perché politica e tecnica non possono andare insieme? Perché, dicono di benpensanti, non servono politici con competenze, ci pensa l'apparato amministrativo. Non serve neppure che siano laureati, tanto, quando servono, si ricorre ai tecnici. Ecco il risultato: la politica sconquassa il Paese e la tecnica viene chiamata a ripararne i guasti. Ma appena il prescelto propone la sua ricetta e prova a curare gli endemici malanni italiani, inizia il valzer delle interdizioni, che inesorabilmente conduce alla sua flagellazione.

E il film si ripete, uguale a sé stesso. Come la situazione migliora, il tecnico viene defenestrato, ricomincia il Grande Fratello. E tutto torna come prima.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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