P er mesi il dibattito politico in Italia è girato attorno soltanto a una cosa: i fondi dell'Unione europea. Il governo Conte ha celebrato come una vittoria straordinaria “Next Generation EU“, un mix di aiuti a fondo perduto e prestiti dagli altri Paesi dell'Unione europea. Il fatto che vi fosse una componente di aiuti (o “ristori”, come si dice oggi nella politica italiana) ha esaltato la maggioranza, poco incline ad usare invece il Mes perché timorosa dell'eventuale condizionalità: per quanto l'obbligo di usare quei fondi per sostenere il servizio sanitario nazionale forse avrebbe potuto aiutarci a ragionare sulle priorità. Perché esattamente questo è mancato, nell'Italia degli scorsi mesi: il senso delle priorità.

Si tratta di un effetto collaterale della spesa a debito, oggi come ieri. Se uno Stato è vincolato al rispetto del principio del pareggio di bilancio, cioè se le uscite debbono, grosso modo, coincidere con le entrate, esso è costretto a scegliere. La classe politica dovrà decidere se fare asili nido o nuove infrastrutture, se potenziare la banda larga o fare nuove linee ad alta velocità. Il fatto che le risorse siano scarse e note rende imprescindibile la scelta. Fino alla metà del secolo scorso, i sovrani si indebitavano, soprattutto in caso di guerra, ma erano convinti che il bilancio pubblico andasse regolarmente risanato, in un modo o nell'altro. Ne dipendeva, per così dire, il loro merito di credito. Da circa settant'anni ci siamo convinti che il debito pubblico è un debito che una società contrae con se stessa e quest'idea ha aperto il vaso di Pandora.

L 'Italia aveva già un debito pericolosamente alto, rispetto al suo Pil, prima del Covid-19. La pandemia implica un brusco rallentamento dell'attività economica e un aumento importante della spesa: ciò ha fatto esplodere il debito. Ci viene detto che tornerà ai livelli precedenti al Coronavirus solo fra dieci anni. Questo ipotizzando un rimbalzo del 6% del PIL nel 2021 e una crescita del 3,8% nel 2022 e del 2,5% nel 2023: valori tutto fuorché scontati.

Ci sarebbe ben poco da esultare ma, se uno dovesse basarsi sui giornali degli scorsi mesi, pare che a farci contenti basti l'idea che in qualche modo stiamo indebitando non solo i nostri figli, ma anche i figli di tedeschi e olandesi.

Quel che è più grave, però, questa sbornia da nuovo debito ha distratto l'attenzione del governo. Le terapie intensive non sono aumentate quanto era stato previsto. Mancano posti di subintensiva: i malati che arrivano in ospedale, perlomeno fino a oggi, in questa seconda ondata paiono meno gravi ma non ci sono posti letto adeguati per pazienti nelle loro condizioni e che debbono stare in isolamento. Da maggio gli esperti auspicavano che quante più persone possibili si vaccinassero contro l'influenza stagionale: sappiamo che le Regioni hanno acquisito vaccini in misura assai inferiore alla domanda e pertanto li razionano, offrendo la possibilità di effettuarli solo ad alcune fasce d'età. Il nostro Paese continua a fare pochi tamponi, grosso modo la metà di quanti ne faccia l'Inghilterra.

Che dire dei mezzi pubblici? Fin dalle primissime fasi dell'epidemia una ristrutturazione dei trasporti pubblici locali è parsa imprescindibile, per riaprire in sicurezza. È chiaro che i mezzi di trasporto individuali oggi sono molto più sicuri di quelli collettivi: per chi ci viaggia e per gli altri, visto che riducono contatti e opportunità di contagio. Il governo si è occupato di dare bonus per monopattini e biciclette. Nella città di Milano a ottobre non solo non si è sospesa l'area C (la congestion charge che penalizza l'ingresso in automobile in centro) ma per alcuni giorni è stata addirittura riattivata Area B. La “ztl più grande d'Europa” sarà pure stata prova di notevole sensibilità ambientale, in tempi migliori, ma durante il Covid-19 segnala solo la straordinaria miopia degli amministratori.

La politica in Italia nei mesi scorsi ha discusso intensamente su come usare i fondi europei, ha sognato nuove nazionalizzazioni, ha immaginato nuove forme di sostegno alle categorie. Ma ha fatto poco e male il suo primo mestiere: che è assicurare certezza ai cittadini, riducendo tutta una serie di rischi perché questi ultimi possano svolgere le loro attività. Oggi ne paghiamo il prezzo.

Più il Paese sarà costretto a chiudere e più sarà evidente che non bastano quattrini a debito per assicurarsi un futuro radioso. Per tante attività un inverno in cui prima si chiude e poi, specialmente, un po' si riapre, può essere ferale. In molti getteranno la spugna, nessuno sarà incentivato a provare a crescere e sviluppare nuove idee: neppure nuove idee per restare aperti in sicurezza, dal momento che ora è chiaro che, se crescono i contagi, il governo “rispegne” l'economia indipendentemente da quanto è stato fatto in precedenza. Non sono gli assembramenti vacanzieri degli italiani che ci hanno condotto in questa situazione: ma la vacanza che il nostro governo si è preso dalla realtà.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
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