C he cosa abbiamo imparato, in un anno di Covid-19? Noi cittadini comuni, per così dire, dovremmo avere imparato a lavarci le mani per almeno venti secondi e a stare a una certa distanza gli uni dagli altri. Ricercatori e scienziati hanno imparato moltissimo. Su molti aspetti la discussione è ancora aperta. Ma abbiamo già sei vaccini disponibili, e importanti progressi si stanno facendo anche sugli anticorpi monoclonali.

I medici in prima linea hanno adattato le terapie cui sottopongono i malati. L'anno scorso sembrava il problema fosse la penuria di ventilatori, oggi sappiamo che è meglio non farne uso. In linea di massima, siamo convinti dell'importanza di una diagnosi tempestiva, per curare a casa il Covid con farmaci che spesso sono gli stessi che utilizzeremmo nel caso di una influenza.

I politici, invece, che cosa hanno imparato? I politici hanno imparato che, nell'era di Amazon e Netflix, è possibile ordinare alle persone di stare chiuse in casa non solo senza perdere consenso, ma anche guadagnandone. È forse la lezione più sorprendente di questi ultimi dodici mesi. Se a gennaio 2020 ci fosse stato detto che una democrazia liberale, fosse l'Italia del 2020 o il Regno Unito del 2021, poteva impedire per mesi la libera circolazione sul territorio nazionale dei suoi cittadini, ci saremmo messi a ridere. Era già controversa l'idea che si potesse limitare la libertà di movimento di migranti irregolari, bloccandoli alle frontiere.

M a era del tutto inimmaginabile che lo si potesse fare con persone che godevano appieno dei diritti di cittadinanza.

Ciò che scienziati e medici hanno imparato cambia le prospettive di tutti. È alla loro capacità di comprendere il virus e di intervenire sulla malattia che sono appese le nostre speranze. Ma anche la lezione appresa dai politici incide sulle nostre aspettative. Innanzi a un problema relativamente nuovo, ci si aspetterebbe che la società reagisca con un metodo che somiglia a quello della scienza: andando cioè per tentativi, cercando di sviluppare soluzioni diverse fino a che non si arriva a quella che, rispetto alle altre, sembra (sempre provvisoriamente) la più ingegnosa. Invece, la docilità di società che si lasciano chiudere in casa senza neppure lamentarsi granché ha tolto ai leader la necessità di provare a non erodere il proprio consenso, e senza necessità non si aguzza l'ingegno.

Possiamo avere mille perplessità sulle app di tracciamento, o sull'utilizzo massivo di tamponi rapidi, ma è sorprendente come si sia andati poco oltre gli annunci. Nello stesso tempo, proprio il meccanismo delle chiusure ha reso impossibile ad altri attori, dai cinema agli esercizi commerciali i più diversi, di provare ciascuno a suo modo a venire alle prese con la nuova situazione.

In altri tempi e in altri ambiti, si è discusso molto della differenza fra regole e discrezionalità. La discrezionalità esalta il profilo del decisore: che chiuda tutto in nome del valore supremo della salute o che riapra dando ossigeno a questa o quella categoria. Le regole invece definiscono dei limiti per l'azione dei singoli, ma, se di norme generali si tratta, consentono a ciascuno di determinare la propria condotta. Così si lasciano dei margini per creatività e nuove idee. Per esempio, si sono registrati importanti progressi sui test rapidi, ma alla fine se ne è fatto ben poco. Siamo sicuri che non ci sarebbero stati cinema, università, alberghi, linee aeree, disponibili a utilizzarli, alimentando una domanda di innovazione, anziché vedere evaporare la propria clientela?

Se ripensiamo agli ultimi mesi, ci rendiamo conto che la classe politica è stata capace di fare ben poco, a parte di chiuderci in casa. E proprio perché molti di noi ci sono stati volentieri, il politico ha potuto evitarsi il fastidio di pensare a soluzioni diverse.

Abbiamo tre vaccini a disposizione e un anno di esperienza alle spalle eppure, innanzi a un aumento dei contagi (a misure restrittive sostanzialmente invariate), l'unica risposta è: chiudere. Non c'è alternativa, ci viene detto, agitando scenari apocalittici legati a questa o quella variante. Purtroppo la situazione è ben peggiore. È l'unica risposta perché non abbiamo neanche provato a sperimentare delle alternative.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
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