È improbabile che gli Stati Uniti abbiano meno scienziati di noi, anche nelle scienze mediche e biologiche. Si tratta di un Paese nel quale università e ricerca sono immersi in un ambiente competitivo: la gara è per attrarre finanziamenti, studenti, docenti di vaglia. E si tratta pure di un Paese che ha il culto della libertà individuale e nel quale il dibattito pubblico non risparmia né le massime autorità politiche né i grandi capitani d'industria.

Tuttavia, non pare che negli Usa oggi si osservi il derby virologico di massa al quale noi italiani partecipiamo con gusto da qualche mese. Si confrontano, con rispetto, posizioni diverse, per esempio quelle incarnate rispettivamente dall'epidemiologo di Harvard Marc Lipsitch e dall'epidemiologo clinico di Stanford John Ioannidis. Lipsitch ha sostenuto la necessità dei lockdown nella fase iniziale dell'epidemia, Ioannidis ha suggerito più volte che uno sguardo parziale, che tenga conto solo dei benefici e non dei danni che i lockdown producono (per esempio, per quanti sono affetti da patologie croniche e si trovano chiusi in casa con cure al di sotto degli standard cui sono abituati, per l'economia e per i giovani al primo impiego in particolare, per la socializzazione dei bambini), rischia di produrre esiti inaspettati.

Il dibattito fra i due è stato civile, è avvenuto nelle sedi opportune, l'uno e l'altro rappresentano le punte di diamante di due “fazioni”, se vogliamo chiamarle così, che non hanno a che fare solo con interessi divergenti.

Q uali interessi? A d esempio la salute contro l'economia, come si dice con una rozza semplificazione. E tuttavia nella realtà bisogna aggiungere e comprendere che spesso queste fazioni sono invece, sostanzialmente, il risultato di approcci metodologici e visioni del mondo diverse.

Non c'è scienza che sia un canto a una voce sola: questo dibattito, questa pluralità di punti di vista e, soprattutto, di programmi di ricerca ci aiuterà senz'altro a capire meglio il virus e i suoi effetti. Nello stesso tempo, in America, quando parla l'immunologo Anthony Fauci tutti ascoltano. Fauci è il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, uno degli scienziati più citati al mondo e il volto della risposta americana al Covid-19. Con la sua presenza, ha probabilmente contribuito a mantenere il dibattito pubblico su un piano più razionale.

Forse anche in Italia servirebbe un Fauci.

Ciascuno di noi ha preferenze diverse. Non tutti attribuiamo, per esempio, lo stesso valore alla libertà di poterci muovere fuori dal Comune di residenza. Ci sono persone che hanno il gusto del viaggio e si sentono se stesse solo quando l'aereo decolla. Altre che hanno bisogno del conforto della routine e di luoghi noti per sentirsi a casa.

Ci sono ovviamente persone che hanno la fortuna di vivere in una villa spaziosa a pochi chilometri dal mare, e altre che sono confinate, con una famiglia numerosa, in poche stanze in un casermone di periferia. Per le prime stare a casa sarà un sacrificio molto diverso che per le seconde.

La differenza del nostro vissuto condiziona la nostra opinione su quanto è avvenuto negli scorsi mesi e ancora sta avvenendo. È semplicemente inevitabile. Per questo, a seconda delle nostre preferenze e dei nostri valori, saremo più inclini ad ascoltare con favore il professor Silvestri, autore di quotidiane “pillole di ottimismo”, oppure il professor Lopalco, le cui apparizioni televisive ci spronano alla cautela.

Ciò però è altra cosa dall'abbracciare una teoria sull'evoluzione del virus o sul fatto che i casi che arrivano in ospedale hanno natura diversa che alcuni mesi fa, e farne una “causa”. Eppure è quanto accade nel nostro Paese.

Prima, sui social media, sono stati gli osservatori, i giornalisti, gli “influencer” ad adottare ciascuno il suo virologo e a trasformarsi in paladini di una visione o dell'altra. Poi, grazie alla magia del piccolo schermo, lo stesso è avvenuto per tutti gli italiani.

I luminari che sfilano in tv hanno sicuramente ottime ragioni per sostenere le loro tesi. Ma il grande pubblico fatica a capire che dalle stesse prove, dagli stessi fatti, si possano trarre deduzioni differenti. Fatica a capire che la pandemia è un fenomeno ancora nuovo e che abbiamo ancora molto da imparare prima di esprimere opinioni definitive. Fatica a capire che dietro le rassicuranti quattro lettere “prof” possono stare esperienze di vita, modi di guardare il mondo, discipline diversissime.

Lo dovrebbero sapere però gli scienziati, dai quali ci si aspetterebbe circospezione, prudenza, parole ben misurate quando hanno a che fare con mezzi di comunicazione che non padroneggiano e quando si rivolgono non ai loro studenti ma al pubblico in generale. Ogni tanto sembra lo abbiano dimenticato. Gli effetti delle luci della ribalta comportano purtroppo anche questo.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
© Riproduzione riservata