Sale alle stelle la tensione nel Mar dei Caraibi. E quella che era iniziata come una guerra degli Stati Uniti ai narcotrafficanti venezuelani potrebbe trasformarsi nell'ennesimo fronte di conflitto globale, con Caracas che di fronte alla minaccia Usa avrebbe già chiesto aiuto a Russia, Cina e Iran.

Dopo settimane di attacchi da parte del Pentagono contro presunte "navi della droga” al largo del Venezuela e della Colombia, che hanno provocato la morte di almeno 62 persone (raid definiti "inaccettabili" dall'Onu), ora Washington starebbe pensando ad un'escalation con raid mirati su strutture militari nel Paese guidato da Nicolas Maduro.

Secondo indiscrezioni del Wall Street Journal, infatti, sarebbero già stati identificati gli obiettivi, ma non sarebbe stata presa una decisione definitiva.

Tra i potenziali target ci sarebbero porti e aeroporti controllati dall'esercito e usati per il trasporto di droga, ma anche strutture navali.

«Il presidente è stato chiaro nel suo messaggio a Maduro: smettete di inviare droga e criminali nel nostro Paese», ha dichiarato una portavoce della Casa Bianca, Anna Kelly. «Il presidente è pronto a usare ogni strumento a disposizione per impedire che la droga invada il nostro Paese». E, in vista di eventuali attacchi in territorio venezuelano, l'amministrazione americana ha avviato una campagna di sensibilizzazione per presentare Maduro come il capo di un'organizzazione di narcotrafficanti che mira a "inondare" gli Stati Uniti di droga.

«In Venezuela abbiamo un narco-stato gestito da un cartello», ha dichiarato ai giornalisti la scorsa settimana il segretario di Stato, Marco Rubio, che ha assunto un ruolo centrale nella campagna di pressione sul Paese.

Interpellato dai giornalisti, tuttavia, Trump ha frenato e ha smentito, almeno in chiaro, di non aver intenzione di attaccare il Paese sudamericano. Nel frattempo, stando alle indiscrezioni del Washington Post, il presidente venezuelano non è rimasto a guardare ma ha iniziato a chiamare a raccolta i suoi più stretti alleati, nonché 'nemici' di Washington. Prima ha scritto una lettera a Vladimir Putin, chiedendogli aiuti contro i raid americani sulle navi nel mar dei Carabi. Poi ha inviato un appello alla Cina e all'Iran. In un messaggio diretto al presidente Xi Jinping ha chiesto una "cooperazione militare più ampia" tra i due Paesi per contrastare "l'escalation tra Stati Uniti e Venezuela". Nella lettera, Maduro ha anche fatto pressione sul governo cinese per accelerare la produzione di sistemi di rilevamento radar in modo che il suo Paese possa avere strumenti più efficaci. E ha presentato l'aggressione a Caracas come "un'azione contro" Pechino "a causa della loro ideologia comune".

Il ministro dei Trasporti venezuelano Ramón Celestino Velásquez, inoltre, ha coordinato una spedizione di equipaggiamento militare e droni dall'Iran. Più nel dettaglio, "apparecchiature di rilevamento passivo", "dispositivi di intercettazione Gps" e "droni con un raggio d'azione di 1.000 chilometri".

Non è chiaro se e come Mosca, Pechino e Teheran abbiano risposto.

La Russia resta la principale ancora di salvezza per Maduro. Domenica, un Ilyushin Il-76 - uno degli aerei russi sanzionati nel 2023 dagli Stati Uniti per aver partecipato al commercio di armi e trasportato mercenari - è arrivato a Caracas, dopo una rotta tortuosa sopra l'Africa per evitare lo spazio aereo occidentale, secondo Flightradar24. Solo un giorno prima Mosca aveva ratificato un nuovo trattato strategico con Caracas e i due Paesi condividono molti progetti di alto profilo tra cui una fabbrica di munizioni Kalashnikov inaugurata a luglio nello stato venezuelano di Aragua.

La Russia detiene anche diritti di esplorazione per miliardi di dollari in riserve di gas naturale e petrolio non sfruttate. E però, al di là delle apparenze, per gli osservatori il Cremlino potrebbe avere meno mezzi e meno interesse nel sostenere Maduro con la tensione tra Washington e Caracas che potrebbe persino offrire ai russi alcuni vantaggi inaspettati. 

(Unioneonline)

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