Non sembrerebbe potersi dire con crisma di certezza che l’azione portata avanti nei giorni appena trascorsi da Prigozhin possa corrispondere, nella sua sostanza, ad una crisi politica che possa essere realmente definita come tale in danno di Vladimir Putin, il quale, nel corso del suo quarto di secolo come leader della Russia ha certamente dovuto affrontare e risolvere criticità di rilievo. 

Non sembrerebbe, allo stato attuale, neppure uno scacco alla legittimità del potere incontrastato di Putin, per il semplice fatto che la insurrezione del capo della Wagner, che definire estemporanea è davvero il minimo, non sembra essere riuscita ad indebolire, né indebolirà, nel futuro prossimo, il capo del Cremlino. Anzi, con buona verosimiglianza, la circostanza, anche in considerazione delle modalità di svolgimento, sembrerebbe aver ingenerato un meccanismo interno di ricostituzione e conferma di una leadership mai pienamente messa in discussione dagli apparati e/o dalla popolazione civile.

Il voler rintracciare, nell’azione portata avanti dal capo della Wagner, gli elementi di una sfida a viso aperto verso Vladimir Putin pare oltremodo fantasioso, non fosse altro che per il contesto nel quale quella medesima azione parrebbe essere iniziata e, di poi, di lì a poco, si sarebbe consumata. Siccome, a memoria d’uomo, mai prima d’ora, si era potuto assistere ad una evenienza tanto insolita, per essersi verificata all’interno di un Paese fortemente autoritario, ecco che il solo fatto che una manciata di mercenari si sia fatta lecita di confrontarsi a muso duro con lo stato maggiore della Difesa, sembrerebbe esser bastato a disorientare l’Occidente, rimasto a guardare con il fiato sospeso un “affare interno”, dai contorni indefiniti. Ma tutto questo, in realtà, cosa potrebbe mai significare?

Al di là della lettura più banale che si possa offrire, che è pure quella di maggior comodo, ossia quella, assai poco realistica, di un indebolimento del Capo Supremo del Cremlino, cosa si può dedurre dal “fenomeno” simil-insurrezionalista? Lo si può definire nei termini di scontro aperto rivolto all’indirizzo di Vladimir Putin?  

Quali erano gli intenti, all’evidenza non conseguiti, probabilmente, di Prigozhin, che tutto sembrerebbe aver mostrato di essere fuorché un autentico stratega? Intendiamoci: gli ultimi avvenimenti, al di là di ogni plausibile interpretazione che, comunque, non sembra poter passare attraverso la narrazione dell’inizio della fine di Putin, sembrerebbero essere stati utili a mettere in evidenza la probabile impreparazione tattica dell’Occidente di fronte ad evenienze e scenari che dovessero contemplare una frattura dello status quo, tanto di carattere territoriale, tanto di leadership.

Il che, parrebbe suscitare un ulteriore interrogativo: come sarebbe la Russia senza Vladimir Putin? Come sarebbe l’Europa senza il controllo sulla Federazione Russa di Vladimir Putin? Quali ripercussioni potrebbe avere la eventuale, ed ancora lontana, destituzione di Putin, se mai vi sarà? L’incognita lascerebbe propendere nel senso della conservazione dello status quo, perlomeno sul piano interno della Russia. Altrimenti, a voler ragionare diversamente, non sarebbe possibile comprendere (e l’ipotesi ha solamente un valore argomentativo), se non nell’ottica di un’operazione concordata tra lo stesso Capo della Wagner e Vladimir Putin, perché il primo, ossia Prigozhin, giunto indisturbato (e già questa circostanza appare quanto meno insolita) a soli duecento chilometri da Mosca, abbia voluto arrestare la marcia dei suoi convogli e comunicare che i soldati sarebbero tornati alla loro base abituale. Agli occhi del profano, e a voler usare un poco di malizia, la circostanza, potrebbe (e sottolineiamo il potrebbe) verosimilmente apparire come il tentativo posto in essere dall’intelligence russa per poter “apprezzare” le reazioni dell’Occidente di fronte alla notizia della possibile “caduta” dello zar, come viene spesse volte definito Vladimir Putin. E se così davvero fosse, Vladimir Putin, potrebbe aver compreso che, rispetto ad una ipotetica leadership russa fondata sull’incognita, allo stato attuale, probabilmente, parrebbe restare preferibile la sua permanenza al Cremlino. Il condizionale è d’obbligo perché chiaramente ci si muove nel campo delle ipotesi.  

Ad ogni buon conto, ad emergere, nel contesto della circostanza fattuale di riferimento, sembrerebbe pure la piena consapevolezza, da parte di Prigozhin, che ogni realistico tentativo di conquistare una città come Mosca, caratterizzata da un elevatissimo grado di lealtà verso le autorità, e corazzata dal punto di vista militare, avrebbe avuto il sapore di un tentativo al limite della follia, da Kamikaze per dirla in maniera colloquiale. La Russia rimane pur sempre una potenza nucleare, e la sua destabilizzazione aprirebbe scenari complessi che l’Occidente non sembra in grado di poter affrontare. In ogni caso, qualunque speculazione ideologica si intenda condurre su questa (apparente) ribellione, tutto, allo stato attuale, parrebbe lasciar ritenere che il potere di Putin ne è uscito tutt’altro che indebolito. La vicenda, nella sua complessità semantica, e nei suoi esiti, quanto meno immediati, sembrerebbe aver dimostrato la centralità della figura di Putin nello scacchiere interno ed internazionale. A questo punto, e se davvero si volesse mutare lo status quo, sarebbe probabilmente necessario che l’intero Occidente si determinasse a mutare il proprio punto di approccio alla vicenda russo-ucraina, posto che, fino a questo momento, ha pensato di poterlo risolvere solo sul piano militare, ossia affrontando la Russia in un campo, quello armato, in cui, anche a tutto voler concedere, lo stesso paradigma occidentale parrebbe meno preparato.

Intanto, perché, il cosiddetto “pensiero univoco” sussumibile in un solo criterio di valutazione e di scelta, quello della guerra, sembrerebbe porre nel nulla, come di fatto pare aver posto nel nulla, ogni auspicabile ipotesi di negoziato, ogni prospettiva di tregua concordata, ogni possibilità di risoluzione del conflitto che possa dirsi differente dalla vittoria militare. Quindi, perché l'occidente, nell'assecondare soltanto la dimensione bellicista del conflitto, comportante la tutt’altro che implicita accettazione di sempre più vittime, sembrerebbe voler giungere alla estremizzazione totale e definitiva del conflitto senza probabilmente riflettere fino in fondo sulle potenziali conseguenza di una azione militare condotta fino alle estreme conseguenze, ossia condotta fino all’ottenimento, se mai vi sarà, della fine del mondo a blocchi contrapposti come attualmente ancora è, con ogni conseguenza sul piano degli assetti ulteriori che potrebbero venirsi a disegnare anche medio tempore.

Infine, perché, pare illusorio a dir poco, per l’occidente nella sua complessa interezza, che ancora oggi si possa agognare a "vincere" una guerra armata a discapito di ogni utile tentativo di perseguire la pace, la quale, a ben considerare, andrebbe costruita giorno dopo giorno con la precisa e volenterosa determinazione di raggiungerla, con ogni migliore impegno politico e diplomatico. Intendiamoci: non si tratterebbe di stabilire necessariamente chi possa dirsi il più forte, si tratterebbe piuttosto di comprendere che la corsa agli armamenti non può essere la risposta, se per risposta volessimo intendere la costruzione di un nuovo ed inedito ordine, perché se quello militaresco pare essere il campo di elezione di Vladimir Putin, quello diplomatico dovrebbe essere il campo di elezione delle potenze europee ed internazionali.

Rispondere alle armi solamente con le armi, significa accettare che il campo del confronto sia proprio quello di Vladimir Putin, e quindi accettare di porsi, con buona probabilità, in una condizione se non di minorità, comunque di debolezza sul piano della efficienza degli interventi.

La diplomazia, a maggior ragione dopo l’azione di Prigozhin, sembra potersi considerare l’unica vera arma risolutiva. Specie per il fatto che Vladimir Putin parrebbe essere, dopo tutto, ancora ben ancorato al posto di comando, e per nulla intenzionato a lasciarlo.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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