«Non ci arrenderemo». Così Leonid Volkov, il braccio destro e grande amico personale di Alexei Navalny aggredito a martellate ieri in Lituania. «Lavoreremo e non ci arrenderemo», ha scritto su Telegram aggiungendo che l'attacco, costatogli la rottura di un braccio, è stato un «caratteristico saluto da bandito» da parte dei sodali di Putin.

Prima hanno sfondato il finestrino della sua auto, poi gli hanno spruzzato liquido urticante negli occhi e lo hanno colpito a martellate: così è stato aggredito davanti alla sua casa in Lituania. A denunciare l'intimidazione è Kira Yarmysh, la portavoce del dissidente russo, morto poco meno di un mese fa in condizioni poco chiare in un carcere isolato nella tundra siberiana oltre il Circolo polare in pieno inverno.

Volkov, 43 anni, grande amico di Navalny e capo dello staff, fino al marzo del 2023, della Fondazione Anticorruzione messa in piedi da Navalny, ha apertamente accusato Vladimir Putin per la morte dell'amico. Solo tre giorni prima di quel drammatico 16 febbraio, parlando dall'estero con alcuni diplomatici a Mosca, Volkov aveva detto che Navalny era «in condizioni psicofisiche sorprendentemente buone» e non in pericolo di vita, nonostante le durissime condizioni carcerarie oltre il circolo polare artico in pieno inverno, rafforzando quindi l'ipotesi che non sia deceduto perché malato o logorato.

Il 22 febbraio, in un'audizione alla commissione Esteri del Parlamento europeo, aveva poi chiesto una risposta più dura del mondo occidentale alla morte dell'amico e dissidente, sottolineando che i russi «ridono» delle sanzioni imposte di recente dalla Gran Bretagna a sei membri del personale della colonia penale dove era rinchiuso Navalny. Se si vuole davvero fare male a Mosca, ha suggerito, occorre colpire «gli amici di Putin» sequestrando i loro beni. «Abbiamo prodotto una lista di 6mila persone, ora 7mila, che illustra i collaboratori del regime, e ancora non è successo nulla».

(Unioneonline/D)

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