La controproposta di Hamas sulla tregua e lo scambio dei prigionieri fa crollare ancora una volta la speranza di un accordo nei negoziati di Doha per Gaza. Il gruppo palestinese ha infatti rilanciato sui punti proposti dai mediatori e accettati da Israele, chiedendo più detenuti palestinesi da liberare in cambio degli ostaggi, oltre a una clausola per evitare la ripresa della guerra dopo i 60 giorni di cessate il fuoco. In risposta, il premier Netanyahu ha richiamato in patria la sua squadra negoziale da Doha "per consultazioni", scatenando ore di indiscrezioni e ricostruzioni confuse sullo stato dei colloqui.

A mettere la pietra tombale sul negoziato ci ha pensato in serata l'inviato di Trump Steve Witkoff, che ha annunciato il fallimento dei colloqui e il ritiro del team americano da Doha, accusando Hamas di "egoismo" e "chiara mancanza di volontà di arrivare ad un cessate il fuoco" nella Striscia. Prima di aggiungere che ora saranno "valutate opzioni alternative per riportare a casa gli ostaggi e cercare di creare un ambiente più stabile per la popolazione di Gaza". Parole che suonano come un epitaffio sulle speranze di pace nella Striscia, mentre non trapelano indiscrezioni sul presunto incontro in Sardegna tra lo stesso inviato Usa e funzionari israeliani e qatarioti: una 'diplomazia dello yacht' che doveva essere utile a imprimere maggiore slancio al negoziato. Ma che non ha salvato gli sforzi di pace dal loro fallimento.

Prima che Witkoff annunciasse l'interruzione dei colloqui di Doha, la controproposta di Hamas aveva scatenato le reazioni più disparate sui media israeliani: per alcuni funzionari dello Stato ebraico si trattava di una risposta 'praticabile', per altri 'inaccettabile'. Al centro dello scontro c'è il nodo dei prigionieri: secondo fonti citate da Axios, il gruppo palestinese ha infatti chiesto a Israele di rilasciare 200 palestinesi che stanno scontando l'ergastolo per aver ucciso israeliani e 2.000 palestinesi detenuti a Gaza dopo il 7 ottobre in cambio di 10 ostaggi vivi. Numeri superiori rispettivamente ai 125 e 1.200 proposti inizialmente. A questo - scrive Reuters online che cita fonti di Hamas - si aggiunge l'inserimento di una clausola per evitare una ripresa della guerra in caso di mancato accordo dopo il 60 giorni di tregua. Oltre alle richieste, già avanzate, sulle mappe del ritiro dell'Idf dalla Striscia e il meccanismo di distribuzione degli aiuti. Da qui, la decisione di Israele di richiamare il suo team a Doha. Una scelta che se da una parte ha fatto gridare alla "crisi" e allo "stallo" nei colloqui, dall'altra non aveva spento le speranze di una soluzione mediata: "I colloqui non sono falliti", aveva detto un funzionario all'emittente israeliana Kan, "lo slancio è ancora positivo".

Un altro funzionario israeliano ha detto ad Axios che la decisione di richiamare i negoziatori è stata presa per cercare di "scuotere" i negoziati e fare ulteriore pressione su Hamas, che intanto ha accusato Israele di "temporeggiare". Di fronte a questo quadro, le parole di Witkoff pesano come un macigno sulla possibilità di una soluzione mediata alla guerra.

E mentre Gran Bretagna, Francia e Germania hanno annunciato per venerdì una "chiamata di emergenza" sulla Striscia, in serata è arrivato l'annuncio del presidente francese Emmanuel Macron: «Fedele al suo impegno storico per una pace giusta e duratura in Medio Oriente – ha scritto il capo di Stato francese su X e Instagram – ho deciso che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Farò l'annuncio formale all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il prossimo settembre». 

(Unioneonline)

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