Il 19 gennaio del 1969 moriva, dopo tre giorni di agonia, Jan Palach. Il 16 gennaio il giovane studente 21enne, considerato oggi un martire della libertà, si era dato fuoco in piazza San Venceslao a Praga per protestare contro l'occupazione sovietica dell'ex Cecoslovacchia e contro la crescente indifferenza e agonia nella società.

L'anno precedente era tra gli entusiasti sognatori della Primavera di Praga, una breve e illusoria stagione riformista durante la quale la Cecoslovacchia, in cui si stava diffondendo il malcontento per il regime sovietico, cercava di alzare la testa, mantenendo il sistema economico collettivista, ma con una maggiore libertà politica, di stampa e di espressione. Tutto finì di colpo nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 quando centinaia di migliaia di soldati e circa 6mila carri armati invasero il Paese.

La repressione, in quei sei mesi, fu terribile, con una censura che proibiva ogni tipo di assembramento o protesta. Palach, studente originario di un paese a 50 chilometri da Praga, la mattina del 16 gennaio 1969 uscì dal suo appartamento, imbucò tre lettere, riempì tre taniche di benzina, se le versò addosso ai piedi della scalinata del Museo Nazionale e si diede fuoco.

«Io sono il primo - scrisse nelle tre missive che aveva inviato ai compagni di università - a cui tocca l’onore di eseguire la nostra decisione. Sono il primo che ha avuto l’onore di scrivere la lettera, e sono anche la prima torcia». Almeno altri sette lo emularono e si tolsero la vita, nel silenzio degli organi d'informazione controllati dalle forze d'invasione.

Oggi decine di circoli studenteschi portano il nome di Jan Palach, come anche strade e piazze a Praga e nel mondo.

(Unioneonline/D)

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