Joseph Ratzinger in una lettera a commento degli abusi di Monaco, in cui è accusato di negligenza per non aver fatto nulla dal 1977 al 1982 quando era arcivescovo di Monaco e Frisinga, parla di “grandissima colpa” per chi commette gli abusi ma anche per chi non li affronta.

"Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica”, scrive, “tanto più grande è il mio dolore e ogni giorno mi domando se anche oggi io non debba parlare di grandissima colpa”.

Negli incontri con le vittime, scrive il Papa emerito, “ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l'affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade”.

Nel rapporto si parla di quasi 500 abusi dal 1945 al 2019, quasi tutte le vittime avevano all’epoca dei fatti tra gli 8 e i 14 anni.

E Ratzinger torna a chiedere “perdono” a nome della Chiesa, considerando gli importanti ruoli che ha ricoperto.

“Come in quegli incontri con le vittime, ancora una volta posso solo esprimere nei confronti di tutte le vittime di abusi sessuali la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono. Ho avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica. Tanto più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi. Ogni singolo caso di abuso sessuale è terribile e irreparabile. Alle vittime degli abusi sessuali va la mia profonda compassione e mi rammarico per ogni singolo caso”, si legge nella missiva.

“Sono particolarmente grato per la fiducia, l'appoggio e la preghiera che Papa Francesco mi ha espresso personalmente”, ha inoltre sottolineato.

Infine, sulle accuse rivoltegli: “Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l'animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l'amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato”.

“In vista dell'ora del giudizio – conclude - mi diviene così chiara la grazia dell'essere cristiano. L'essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l'amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte”.

(Unioneonline/L)

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