La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 20 anni di carcere per Antonio Logli, ritenuto responsabile di aver cagionato la morte e la soppressione del cadavere della moglie Roberta Ragusa, la bellissima donna dagli occhi azzurri che amava tanto la sua famiglia e i suoi figli più di ogni altra cosa, svanita nel nulla la notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012.

Una condanna che conferma quanto già sancito dalla Corte d’Assise di Appello di Firenze e prima ancora dai giudici di primo grado in data 21 dicembre 2016. La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso della difesa di Logli, rendendo definitivo il tanto atteso verdetto.

L'uomo, la figlia Alessia e la compagna Sara Calzolaio hanno atteso l’esito della sentenza in una camera di un B&B. "Non è giusto, non è giusto", ha urlato Sara, dopo aver appreso l’esito della sentenza di condanna. Una vicenda che dal punto di vista processuale rappresenta indubbiamente una vittoria ma dal punto di vista umano non ci sono vincitori né vinti; Roberta Ragusa continua ad essere avvolta nell’ombra, il suo corpo non è mai stato ritrovato e nessuno può ancora portarle un fiore sulla tomba. Dove sono i resti? Si chiedono ancora in molti a distanza di tanti anni.

Antonio Logli dovrà trascorrere 20 anni in carcere, lontano dalla sua compagna ma soprattutto dai suoi figli. Quei figli che erano ancora piccoli quando Roberta è svanita nel nulla ma che oggi hanno certamente acquisito consapevolezza e conoscenza e, chissà, forse anche loro avranno fatto delle ipotesi in merito a quella notte e ad una storia che continua a dividere l’Italia tra innocentisti e colpevolisti.

Roberta a rimboccare le loro coperte o a dare loro il bacio della buona notte, adesso c’è Sara. Ma anche lei è una vittima in tutta questa vicenda, ha perso l’uomo che ha amato e adesso si ritroverà in una grande casa vuota, con lo spettro di un amore sfiorito nel tempo che consumerà i muri, i ricordi e i sogni di un velo bianco che non coprirà più il suo viso.

Non c’è nulla da gioire in questa triste storie, c’è da riflettere su quanto accaduto e rispettare il dolore di questi ragazzi che dovranno affrontare il cammino della vita con una forza maggiore. La storia di Roberta Ragusa continua ad echeggiare nella mente degli italiani che hanno imparato a conoscerla attraverso i video e le foto, attraverso i sorrisi spontanei, gli abbracci affettuosi che soltanto una donna innamorata della vita avrebbe potuto dare e proprio attraverso quei gesti di amore la ricerca dei suoi resti non si fermerà, con il fine di garantire a lei una degna sepoltura e ai suoi cari un luogo in cui portare un fiore.

Nicodemo Gentile (Ansa)
Nicodemo Gentile (Ansa)
Nicodemo Gentile (Ansa)

Nicodemo Gentile ha rappresentato la parte civile per l'associazione Penelope contro l'Imputato.

Avvocato, Logli è stato condannato a 20 anni di carcere. Cosa rappresenta per voi questa condanna? Ve l’aspettavate?

"Sì, io ero molto fiducioso perché il processo di secondo grado è stato molto completo, sono state analizzate tutte le fonti, sia di natura documentale che testimoniale, soprattutto si era molto dibattuto sulle ipotesi alternative. Tenga presente che comunque c’era già stata una sentenza della Corte di Cassazione che aveva stabilito che la fine di Roberta non poteva che essere stata violenta. Hanno riattaccato la dichiarazione di Loris Gozi, che per loro rappresentava lo zoccolo duro ma è una dichiarazione che ha resistito alle varie aggressioni tecniche. Io ero fiducioso perché loro in Cassazione non hanno fatto altro che riproporre più o meno le stesse argomentazioni che erano già state affrontate e superate dai giudici di primo e secondo grado, e sapendo che in Cassazione si lavora sulla legittimità, sulla logica e sulla completezza e non contraddittorietà della motivazione, io mi sentivo abbastanza forte".

Una vittoria dal punto di vista processuale, ma una sconfitta sotto il punto di vista umano…

"La soddisfazione professionale c’è stata, devo essere sincero, perché è stato un processo in cui abbiamo sempre dovuto rincorrere gli indizi, affrontare sempre nuove sfide e ci siamo riusciti e alla fine abbiamo convinto i giudici e va bene, però poi al netto di questo non rimane niente perché comunque Roberta non c’è più, il cadavere non è stato ritrovato o quello che rimane, comunque non si è riusciti a capire questi figli perché si sono mossi in un certo modo e adesso che futuro avranno. Certo, il processo non deve tenere conto di questo perché la macchina della giustizia ha un imputato accusato di alcune condotte però se uno la guarda a 360° è una vicenda in cui non ci sono né vinti e né vincitori ma c’è desolazione ovunque. È una sconfitta anche della famiglia perché in fondo questa donna per che cosa è morta? Per una ennesima crisi matrimoniale mal gestita che si è cercato di nascondere portandola all’esasperazione e quando c’è stato lo scoppio poi le cose sono sfuggite di mano".

Che fine ha fatto il corpo di Roberta Ragusa?

"Adesso alla luce della Cassazione che dichiarando inammissibile il ricorso ha definitivamente chiuso il caso e quindi diventa definitiva la sentenza di secondo grado, con Logli che è già in carcere. Io dico questo, dov’è Roberta nessuno lo sa tranne chi per la giustizia degli uomini l’ha uccisa. Senza il contributo attivo, sincero, aperto di Antonio Logli per me Roberta non la troveremo più né troveremo residui di quella che era Roberta. La cosa dispiace perché per me che mi occupo anche di scomparsi, sapere che un familiare non può portare un fiore, non ha un luogo dove pensare che si trovi il proprio caro, è un dolore che non si elabora mai. È un lutto sospeso, congelato, che crea un sacco di difficoltà e credo che se il buon Logli non darà un contributo serio e onesto nel recupero di quello che potrebbe essere il corpo o parte del corpo di Roberta, la speranza di ritrovare qualcosa che appartenga a lei è molto ma molto flebile. Non credo assolutamente che possa aprirsi a questo. Di solito la letteratura e la casistica ci dicono che gli assassini, soprattutto quando il delitto matura in un ambito familiare o amichevole, difficilmente hanno il coraggio di confessare. Preferiscono aggrapparsi alla mala giustizia, al pregiudizio, ma non confessano. Nella mia carriera l’unico che veramente ha raccontato quello che era successo in modo spontaneo, dopo un suo percorso anche veloce, è stato il filippino dell’Olgiata".

Angelo Barraco
© Riproduzione riservata