Il documento "di programmazione del rischio" in cui nel 2014 venne scritto che il Ponte Morandi era a "rischio crollo", veniva compilato anche coi dati ricevuti dai sensori che Autostrade aveva montato anni prima.

Secondo quanto scoperto dagli investigatori, dal 2015 quell'impianto di monitoraggio strutturale non funzionava più perché tranciato da lavori sulla carreggiata.

I sensori, dicono gli inquirenti, non erano stati sostituiti nonostante il Cesi e il Politecnico di Milano ne avessero consigliato l'installazione.

Il sistema era stato poi inserito nel progetto di retrofitting, i lavori di rinforzo delle pile 9 e 10 che però non sono mai partiti perché nel frattempo il ponte è crollato.

Nella tragedia sono morte 43 persone.

Dal 2015, secondo le ipotesi della procura, il documento veniva compilato soltanto con le prove riflettometriche e non con altri sistemi di monitoraggio.

Un sistema, secondo chi indaga, che forse non era sufficiente a capire le reali condizioni del viadotto.

Gli inquirenti indagano sul perché, nonostante i sensori fossero rotti e ci fosse un unico sistema di monitoraggio, senza nemmeno entrare nei cassoni, il "rischio crollo" non fosse stato preso in considerazione.

Una delle ipotesi è che si dovesse risparmiare sui costi di gestione e che una chiusura parziale o totale della struttura potesse influenzare l'entrata nell'asset aziendale di nuovi soci cinesi e tedeschi.

Intanto, domani sono previsti gli interrogatori di altri due indagati per l'inchiesta sui falsi report: il pubblico ministero Walter Cotugno ha convocato Serena Allemanni e Massimiliano Giacobbi, entrambi di Spea.

(Unioneonline/F)
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