«Arcangelo lo sfidava a sparare, mostrando il petto... Tutti guardavano nella loro direzione e, una volta esploso il colpo, gli avevano urlato 'cosa hai fatto'».

Fa rabbrividire il racconto che si può leggere nell’ordinanza con cui il gip di Napoli ha disposto il carcere per Renato Caiafa, che ha ucciso “per sbaglio” il 18enne Arcangelo Correra, suo amico d’infanzia.

Secondo quanto raccontato agli inquirenti, Caiafa ha riferito «di essersi reso conto che si trattava di un’arma vera e propria solo al momento dello sparo e, in particolare, allorquando aveva visto il sangue di Arcangelo a terra».

Dunque ci sarebbe un gioco, una macabra sfida, alla base della morte di Correra? Questo è quanto raccontato dal 19enne, amico d’infanzia della vittima, arrestato per l’omicidio.

Sempre secondo il racconto di Caiafa, «tutto il gruppo di amici con i quali si trovava aveva visto l'arma e tutti erano consapevoli del gioco che stavano facendo lui e Correra».

In base a questa circostanza quindi, per il giudice, «sarebbero state false tutte le dichiarazioni rese dai giovani testimoni sentiti, che avevano riferito di non aver visto alcuna arma e, anzi, di non aver visto neanche il momento dell'esplosione del colpo».

«Renà non mi lasciare», queste le ultime parole pronunciate dalla vittima, rivolte all’amico che aveva appena esploso il colpo di pistola. A riferirlo lo stesso Caiafa, la cui ricostruzione sul ritrovamento dell’arma tuttavia non convince gli investigatori. Ha detto di averla trovata poco prima dei tragici fatti sopra la ruota di una macchina.

(Unioneonline/L)

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