Messina Denaro, la latitanza e la cattura: «Se non fosse stato per la malattia non mi avreste mai preso»
Affetto da un tumore al colon, non ha mai collaborato con la giustiziaÈ morto all’età di 61 anni Matteo Messina Denaro, l’ultimo superboss di Cosa Nostra, la Cosa Nostra che negli anni Ottanta e Novanta aveva iniziato una vera e propria, sanguinosa guerra contro lo Stato italiano.
Malato di cancro, era ricoverato a L’Aquila, nell’ala detenuti dell’ospedale, blindatissima dalle forze dell’ordine, in coma irreversibile da giorni.
La fine di una vita votata alla causa mafiosa.
Dopo l’arresto del Capo dei Capi Totò Riina, “u Siccu” (il suo soprannome, assieme a quello di Diabolik) si era dato alla latitanza.
E latitante è rimasto per circa trent’anni, fino al 16 gennaio 2023, quando i carabinieri riuscirono finalmente a catturarlo, a Palermo. A fargli scoprire il fianco, dopo essere stato protetto da una stretta rete di amici, parenti e complici, le cure e le terapie per il tumore al colon, proprio quello che, aggravandosi, lo ha portato alla morte.
«Se non fosse stato per la malattia non mi avreste mai preso», avrebbe detto agli inquirenti dopo l’arresto avvenuto davanti a una clinica privata di Palermo.
Dall'arresto il padrino è stato interrogato più volte dai pm di Palermo precisando, fin dal primo incontro, che non avrebbe mai collaborato con la giustizia.
Con lui se ne va l’ultimo dei potenti padrini della mafia stragista che dichiarò guerra alla Repubblica e che immolò sull’altare della propria brutale violenza e dei propri interessi Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri servitori della patria e uomini e donne delle istituzioni.
Classe 1962, nato a Castelvetrano (Trapani), MMD era considerato l’erede di Bernardo Provenzano.
Negli anni è stato inseguito da una miriade di mandati di cattura e di condanne all'ergastolo per associazione mafiosa, omicidi, attentati, detenzione e trasporto di esplosivo. Nei più gravi fatti criminali messi in opera dalla Cupola, a cominciare dalle stragi del '92 in cui furono uccisi Falcone e Borsellino, è stata riconosciuta la sua mano. Lui stesso, del resto, si vantava di avere «ucciso tante persone da riempire un cimitero».
(Unioneonline/l.f.)