"Ha strumentalizzato il sistema dell'accoglienza a beneficio della sua immagine politica" e utilizzato "gran parte" delle risorse inutilizzate per i progetti di accoglienza ed integrazione dei migranti per la "realizzazione di plurimi investimenti" che "costituivano una forma sicura di suo arricchimento personale su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera". 

Sono le durissime motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Locri, il 30 settembre scorso, ha condannato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione (quasi il doppio della richiesta della Procura) per irregolarità nella gestione dei migranti.

IL PROCESSO – L’ex primo cittadino calabrese è accusato di aver messo in piedi un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”.

Su di lui le accuse di abuso d'ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d'asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La pesante condanna di primo grado aveva fatto discutere e su questa si esprime oggi il presidente del Tribunale Domenico Accurso. Benché Lucano abbia "realizzato l'encomiabile progetto inclusivo che si traduceva nel cosiddetto Modello Riace, invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo", quando si è “reso conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse".

Per Accurso "nulla importa che l'ex sindaco sia stato trovato senza un euro in tasca, come orgogliosamente egli stesso si è vantato a più riprese, perché ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza".

LE ATTENUANTI – Quanto alla mancata concessione delle attenuanti, quelle generiche e quelle chieste dalla difesa (per aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale), il giudice afferma anche che dal processo è emerso che "la finalità per cui egli operò per oltre un triennio non ebbe nulla a che vedere con la salvaguardia degli interessi dei migranti, della cui presenza tuttavia ebbe a servirsi astutamente, a mò di copertura delle sue azioni predatorie, solo allorquando furono resi noti i contenuti di questa indagine".

Il processo, in definitiva, per il giudice "ha messo in luce meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull'avidità, che ad un certo punto hanno cominciato a manifestarsi in modo prepotente in quei luoghi e si sono tradotti in forme di vero e proprio 'arrembaggio' ai cospicui finanziamenti che arrivavano".

IL COMMENTO – "Non mi aspettavo complimenti ma neanche che il Tribunale mi condannasse sulla base di cose non vere", ha commentato Lucano:  "È tutto molto strano - dice - dal processo non si evince per nulla l'interesse economico. Si infanga ancora una volta la mia immagine ma io non voglio che la gente abbia dubbi su di me".

(Unioneonline/D)

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