A un centinaio di giorni di distanza dalla tragedia, gli esami accertano che quello di Aurora Tila, la 13enne morta il 25 ottobre 2024 a Piacenza precipitando dal terrazzo del palazzo in cui abitava con la madre, non è un suicidio.

La ragazzina non si è tolta la vita come si pensava in un primo momento, ma è stata spinta giù. Le lesioni riscontrate sono incompatibili con un suicidio, si legge nelle conclusioni sull’autopsia svolta del medico legale Giovanni Cecchetto, dell’istituto di medicina legale dell’Università di Pavia.

Per la morte della ragazza è in carcere l’ex fidanzato 15enne, accusato di omicidio volontario. Un testimone ha raccontato di aver visto Aurora aggrappata disperatamente alla ringhiera e alla vita mentre il giovane batteva con i pugni sulle mani per farla cadere. Ora che è arrivato anche il riscontro scientifico, si aggrava sempre più la posizione del ragazzino che, dal carcere minorile in cui è recluso, continua a negare.

Le lesioni nella parte posteriore del cranio, evidenzia il medico legale, farebbero pensare che sia caduta all'indietro, probabilmente in seguito a una spinta, e che non si sia lanciata in avanti come invece presupporrebbe l'intenzione di compiere un gesto estremo. Aurora presentava numerose fratture, tutte riconducibili alla caduta dall'alto. Ma quelle letali sarebbero state alla testa. Lesioni che avrebbero provocato una morte immediata.

Altro punto cruciale dell'esame autoptico è quello che si è concentrato sulle lesioni riscontrate sulle mani della ragazza e, in particolare, sulle nocche. A conferma di quanto riferito dal testimone.

(Unioneonline/L)

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