Claudio, giornalista combattente a fianco dei curdi contro l'Isis: "Ipocrita perseguire Caria"
Claudio Locatelli ha combattuto per sette mesi nelle milizie curde contro l'Isis. Ha conosciuto Lorenzo Orsetti, ucciso nei giorni scorsi, e il sardo Pierluigi CariaIn Siria lo hanno ribattezzato il “giornalista combattente”. Claudio Locatelli, trentenne originario di Curno, nel Bergamasco, ha imbracciato le armi e affrontato i miliziani dell'Isis.
Anche lui, come Lorenzo Orsetti e Pierluigi Caria, si è arruolato nelle Ypg, le milizie curde del Rojava (il nord della Siria). Li ha conosciuti entrambi, soprattutto il primo.
Dopo aver combattuto per sette mesi e aver partecipato alla liberazione di Raqqa, capitale del Califfato, è tornato in Italia. “Ma il mio impegno continua anche da qui, non finisce sul campo di battaglia”, assicura.
Come e perché ti sei ritrovato in Siria a combattere con i curdi?
"Innanzitutto perché penso che per cambiare le cose bisogna calarsi in prima linea: ero già intervenuto sul fronte del terremoto in Abruzzo, ad Amatrice, e anche in Veneto dopo l'alluvione. Quanto alla Siria, seguivo la situazione già dal 2014: prima ho organizzato un progetto per un campo in Turchia al confine siriano per i profughi di Kobane, poi, a marzo 2015, sono andato lì come osservatore internazionale a Diyarbakir, nel Kurdistan turco. Decisivo è stato l'incontro con i campi yazidi nella Turchia curda. Intere famiglie di profughi. Senza figlie, tutte catturate e costrette a diventare schiave del sesso degli uomini dell'Isis. E questo per me è intollerabile: il sessismo, il radicalismo e suprematismo religioso, la violenza, tutte cose contro cui mi sono sempre battuto".
E poi?
"E poi ci sono stati altri avvicinamenti, ma di fatto la decisione l'ho presa allora. E siccome se vai in guerra non pensi di tornare vivo, ho pensato a Raqqa: il sentore che ci sarebbe stata quella battaglia fondamentale si aveva già nel 2016. Mi sono candidato per unirmi alle Ypg. Mi hanno accettato, c'è stato un periodo di addestramento, la prima cosa che ti insegnano è capire le ragioni della lotta e le basi delle armi, compreso come non farti male con il kalashnikov. Ho combattuto per sette mesi: prima a Tabqa, poi a Raqqa appunto, dove abbiamo preso la città vecchia".
Ma cos'è che ti ha fatto sentire quella battaglia talmente tua da andarci a combattere in prima persona, in un luogo così distante?
"In primo luogo il nemico non è lontano, anzi: basti pensare agli attentati in Europa e alle vittime italiane. Io non combatto la guerra di qualcun altro, questa è la battaglia che riguarda il mondo in cui viviamo. Quando abbiamo liberato Raqqa dal Califfato ha gioito tutto il mondo. Tutti moriremo, il punto è per cosa, si tratta di scegliere come vivere la nostra vita. Io sono giornalista esperto di conflitti, atleta e tecnico sportivo, qui avevo la mia vita, il mio mondo, i miei successi e insuccessi, ma arriva il momento in cui c'è qualcosa di più importante di tutto questo, che mette in gioco il futuro del mondo intero, e quindi anche del nostro piccolo".
Quale causa hai sposato di più: lotta all'Isis o indipendentismo curdo?
"Qualcosa di più di entrambe. L'Isis è il nemico, rappresenta tutto ciò che odio: sessismo, discriminazione verso il diverso, supremazia religiosa, violenza. Dall'altro lato i curdi sono oppressi da secoli di devastazioni. Ma è qualcosa in più, perché rappresenta il cambiamento e il miglioramento del mondo e per me è il completamento di un percorso personale e politico".
Due vittime italiane negli ultimi mesi.
"Sì. Giovanni Asperti, che come me era bergamasco, e Lorenzo Orsetti".
Parlaci di Lorenzo...
"L'ho conosciuto quando uscivo da Raqqa e lui entrava per la battaglia di Afrin. Non abbiamo combattuto assieme, l'ho incontrato in Iraq e ho subito notato la sua grande lucidità. Era un cuoco, abituato a servire la gente, ed era chiarissimo di intenti, sapeva chi era il nemico, cosa andava a combattere, aveva studiato la situazione siriana. Anche lui provava fastidio per la civiltà occidentale opulenta che isola i valorosi. Voleva aiutare, servire e difendere chi veniva oppresso".
Secondo te è morto col sorriso?
"Non stento a crederlo, perché faceva qualcosa in cui credeva veramente. Ora c'è enfasi sulla sua morte, ma con l'ipocrisia di chi non ha capito le sue battaglie. Lorenzo non è un eroe perché è morto, ma per come ha condotto la sua intera vita".
Quanti italiani al momento sono arruolati nelle milizie curde?
"Ora sono cinque: tre uomini nelle Ypg, due donne nelle Ypj (le milizie femminili, ndr)".
Cosa pensi di un'Italia che piange Lorenzo Orsetti e persegue Pierluigi Caria, combattente nuorese accusato di terrorismo e privato del passaporto per qualche mese?
"Che è un'ipocrisia assurda. Come si può solo pensare che una persona che ha messo in gioco la sua vita per gli interessi del mondo, e quindi anche dell'Italia e della stessa Sardegna, debba essere perseguita? Andare dove serve quando è necessario, in Abruzzo, in altre zone, dove c'è bisogno di aiuto. Non sono questi i valori che insegniamo ai nostri figli? È un paradosso".
Hai conosciuto Caria?
"Sì, lui l'ho conosciuto in Italia. Prima telefonicamente e via Internet, poi qualche mese fa a Torino, all'udienza del processo contro i ragazzi torinesi delle Ypg. Ho seguito la sua vicenda e l'ho supportato".
Cosa pensi di lui?
"È una persona integra, gentile, chiara in quel che dice e, soprattutto, mossa da un profondo senso del dovere e di giustizia. È anche una persona molto amichevole".
La guerra in Siria, la lotta curda. Come le ha raccontate la stampa occidentale?
"Nel 2015 e inizio 2016 ci fu molta attenzione per Kobane, poi il silenzio. Mentre il mondo piangeva le vittime dell'Isis in Europa, taceva su quelli che l'Isis lo combattevano in prima linea. Poi si è gioito per Raqqa, ma quando gli eroi di Raqqa venivano attaccati dalla Turchia di Erdogan, ancora silenzio".
Anche Assad ha perseguitato i curdi: c'è un'alleanza contro il nemico comune?
"Con Assad al momento non c'è un conflitto diretto, ma non c'è alleanza. Certo non è un modello da seguire, come non lo è l'Iraq. Due sono gli elementi importanti: la Russia che può permettere la creazione di una confederazione, e gli Usa che finché restano sono un altro deterrente all'invasione turca".
Se gli Usa smobilitano, i curdi restano soli contro una probabile offensiva turca.
"Sarebbe una battaglia senza fine, perché i combattenti non mollerebbero".
Tornerai a combattere?
"Il mio contributo l'ho dato e la mia battaglia non si ferma sul campo, continuo a mettere i miei strumenti e le mie competenze al servizio della causa. Ma se ci dovesse essere un attacco alla nostra rivoluzione, se tutto quello per cui ho combattuto dovesse finire e crollare, mi sarebbe difficile restare qui".
Perché?
"Spero sempre che non ci siano stupri in nessuna città del mondo. E se mi trovassi davanti una donna stuprata da dieci persone, so che finirei male, intervenendo. Ma se restassi fermo a guardare sarei senza dubbio complice".
Davide Lombardi
(Unioneonline)
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