La Corte d'Assise di Milano ha disposto una perizia psichiatrica per valutare la capacità di intendere e volere al momento dei fatti e l'eventuale pericolosità sociale di Alessia Pifferi, la 37enne accusata di omicidio volontario, anche aggravato dalla premeditazione, per aver lasciato morire di stenti, nel luglio 2022, abbandonandola da sola in casa per sei giorni, la figlia Diana, che aveva meno di un anno e mezzo. 

Il pm Francesco De Tommasi era invece contrario a questo esame: «Non ha alcun problema mentale e ha avuto un atteggiamento scellerato nei confronti della figlia», aveva detto ribadendo: «Non ci sto ad essere preso in giro», chiedendo ai giudici di respingere la richiesta difensiva di perizia psichiatrica.

Dure le critiche del pm sugli accertamenti medici effettuati dal carcere di San Vittore e sulla consulenza della difesa che parlano, in sostanza, di un ritardo mentale della donna. «Un quoziente intellettivo di 40 vuol dire che nella scorsa udienza - ha detto il pm - lei non sarebbe stata in grado di dire nulla, né di formulare accuse contro il personale di polizia, di relazionarsi con nessuno». Invece, ha dato «risposte chiare», ha reso «dichiarazioni sconcertanti», è stata proprio lei a dichiararsi consapevole di ciò che ha fatto, «dicendo che a volte lasciava da bere alla piccola per la sua sopravvivenza».

Per la Procura, insomma, non serviva alcuna perizia sulle capacità cognitive, né sulla imputabilità.

Anche per il legale di parte civile, l'avvocato Emanuele De Mitri, che rappresenta la madre e la sorella dell'imputata, parere negativo alla perizia perché la stessa mamma «ha sempre detto che sapeva che la bimba poteva morire».

Alessia Pifferi «sapeva ciò che stava facendo e cosa avrebbe provocato il digiuno sulla bambina e lei non ha mai avuto problemi psichiatrici». Poi, nel processo «ha cercato di scaricare le responsabilità sulla sua famiglia e sull'ex compagno».  

(Unioneonline/s.s.)

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