Un paziente, in attesa di essere visitato all’ospedale di Udine per una semplice medicazione, è apparso strano. A notarlo è stato un infermiere sardo che lavora in chirurgia specialistica, e che gli ha salvato la vita.

La notizia è stata riportata con risalto dai media locali, pochi giorni fa, ma Renato Serci non crede di aver fatto più di quanto non fosse suo dovere fare. Lui è semplicemente un professionista di lungo corso, appassionato al suo lavoro, che ha saputo mostrare una grande sensibilità ai piccoli segnali notati sul viso di quel paziente.

“Ero adibito al triage pre-Covid – racconta Serci, 52 anni, a L’Unione Sarda – ed è arrivato questo signore, giovane; ho visto subito che in viso era pallido, e i suoi gesti mostravano irrequietezza. Gli ho chiesto se fosse tutto a posto, ha risposto ‘insomma, diciamo di sì’, ma io non ero convinto. Ho insistito e mi ha detto ‘mi sembra di avere un uomo seduto sul petto”.

A quel punto si è allarmato?

“Certo, ho trascorso 15 anni in unità coronarica e hoavuto subito il sospetto, quindi ho voluto un’ulteriore conferma: ‘Ha la sensazione di formicolio al braccio sinistro?’, gli ho chiesto, e quando ha fatto cenno di sì mi sono attivato, anche se lui voleva solo arrivare alla sua visita e andare a casa a riposare. ‘Lei non va via’, gli ho ribadito, quindi è stato inviato al pronto soccorso. In pochi minuti è stato portato in sala emodinamica dove gli è stato riscontrato un infarto in corso, e anche esteso. L’hanno sottoposto a un’angioplastica”.

Come si fa a salvare una vita con uno sguardo e qualche domanda?

“La passione per quello che faccio è sempre stata enorme, si tratta di qualche istante e a volte si rivela fondamentale, anche se a fare l’infermiere sono arrivato un po’ per caso”.

In che senso?

“Sono originario di Soleminis, studiavo Ingegneria all’Università di Cagliari, ma essendo parte di una famiglia numerosa cercavo un po’ di indipendenza economica, quindi avevo saputo della possibilità di fare il concorso regionale per infermiere, ho partecipato e ho vinto l’accesso al corso. Ho iniziato a lavorare al centro trapianti midollo osseo del Binaghi, poi mi sono trasferito a Milano, sempre tramite concorso, e ho lavorato all’ospedale Fatebenefratelli. Ho poi conosciuto mia moglie e mi sono trasferito a Udine, dove vivo tuttora”.

In Sardegna non avrebbe avuto le stesse opportunità?

“Come no, era il 1999, avevo ottime possibilità lavorative, ma per me andare via è stata un’occasione di crescita, che probabilmente non avrei avuto se fossi rimasto. I miei genitori sono lì, i miei fratelli anche, quindi io torno in Sardegna più volte l’anno. Ce l’ho nel cuore, la mia terra”.

Da Ingegneria all’ambito sanitario, che legame c’è?

“In apparenza nessuno, ma ho sempre avuto il ‘pallino’ della progettazione, che mi è rimasto. E infatti ho ideato ‘Frigò’, che serve proprio per il trasporto e la conservazione di particolari preparati”.

"Frigò", l'invenzione di Renato Serci (foto concessa)
"Frigò", l'invenzione di Renato Serci (foto concessa)
"Frigò", l'invenzione di Renato Serci (foto concessa)

Di cosa si tratta?

“Tutto è cominciato nel 2014, lavoravo all’unità coronarica e vedevo che mancava un dispositivo che tenesse una temperatura costante per l’utilizzo di vari farmaci, anche i vaccini antinfluenzali, che ad esempio venivano trasportati in maniera impropria, con i ‘siberini’ o in borse frigo grezze, con dispersioni termiche. Allora ho iniziato a pensare che fosse necessario un apparato in grado di mantenere una certa temperatura, con il freddo da rilasciare nel tempo”.

E cosa ha fatto?

“Prima le prove con i termometri, roba comprata su internet, gli esiti devo dire non sono stati strabilianti. In seguito mi sono affidato a uno studio di progettazione a Modena. Mi hanno preparato i disegni, fatto prove e prototipi, e sono arrivati i primi risultati. La mia invenzione si differenzia da quanto già esiste perché, oltre ad assorbire il freddo in una speciale camera, lo rilascia quando ce n’è bisogno. Se il contenuto, il farmaco supponiamo, tende a riscaldarsi, Frigò mantiene la giusta temperatura”.

Quindi lo ha brevettato.

“Ho depositato il brevetto industriale nel 2014, e una volta ottenuto il certificato ho cominciato a cercare degli sponsor per capire se volevano produrre il prototipo. Alle fiere c’era un grande interesse mondiale. Ma non ho ottenuto nulla di concreto e io non avevo la possibilità economica di realizzare il tutto da solo”.

Il coronavirus però ha cambiato le carte in tavola.

“Esatto, nel 2020, con l’esplodere della pandemia, alcuni giornalisti, cercando tra dossier e documenti, hanno trovato il mio brevetto. Il problema attualmente resta: o qualcuno acquista il mio brevetto o qualche azienda produce il mio prototipo”.

Come vede lei, da infermiere, la situazione sanitaria?

“Stiamo sensibilmente migliorando, anche io ho avuto il Covid nonostante tre dosi di vaccino, ma purtroppo le varianti determinano una faccia subdola del virus. Dobbiamo conviverci, andare in endemia, perché non lo sconfiggeremo. Ora le persone hanno una maggiore sensibilità e anche il carico sanitario ha potuto tirare un sospiro di sollievo”.

Segue la situazione in Sardegna?

“Con attenzione anche, tra tutte le regioni è quella arrivata sempre in ritardo diciamo, la quarta ondata si è manifestata dopo rispetto ad altre realtà. Anche l’estate non penso debba causare preoccupazione, vedo lontano il 2020 quando si registravano focolai, la popolazione è in gran parte vaccinata. Può accadere di ammalarsi, le probabilità più alte ci sono dove c’è un assembramento, ma con i vaccini possiamo dire di essere meno a rischio di finire in terapia intensiva. Ci sono casi di persone che hanno avuto il Covid più o meno con i sintomi di un’influenza”.

© Riproduzione riservata