L'espressione del medico del Pronto soccorso doveva essere da campionato mondiale delle facce incredule. Davanti, c'era un paziente con il dito anulare destro aperto da parte a parte, in verticale, dal polpastrello alla mano. Un taglio da brividi, una rasoiata profonda, l'osso in vista, un lavamano di sangue. Come si è procurato la lesione? Risposta di Marino Nonnis, 45 anni: «L'artiglio di un leopardo». A Guspini, Medio Campidano, Sardegna? Conferma sicura pur tra dolori atroci. «Mi hanno disinfettato la ferita per tre volte al giorno, la carne viva immersa in una soluzione di euclorina, roba da svenire, alla fine mi facevano l'anestesia perché il dolore non era sopportabile». Oggi, a quasi tre settimane dal fattaccio, le cose vanno meglio. «Ma l'animale non aveva colpe. Gli stavo passando il cibo, un pollo, ed ero distratto. La troppa sicurezza ti fa commettere errori: ho tardato a tirare indietro la mano mentre gli avvicinavo il pranzo e sono stato punito. Ha dato una zampata, com'era naturale che facesse, e il mio dito era a portata di lama». Cuore di babbo, non riesce a infierire su uno dei figli prediletti. D'altronde il leopardo suddetto ha altri otto fratelli che vivono nella medesima campagna, e ci sono pure una leonessa, una tigre siberiana e una del Bengala. Troppi per metterseli contro.
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