Non glielo mandò a dire. Nel memorabile discorso all’Assemblea Costituente del 29 maggio del 1947 Emilio Lussu usò tutta la sua schiettezza e ironia per demolire chi, nelle aule parlamentari e nei palazzi di Stato, avrebbe voluto cancellare ancor prima della loro nascita le Autonomie speciali, tra tutte quella della Sardegna. Più che un Costituente, il glorioso capitano della Brigata Sassari, indossò in quell’arringa i panni dello sciabolatore, a volte con il fioretto altre con la scimitarra. Il clima in quell’aula, racconta Lussu, era sempre più gelido e più passava il tempo e più il fronte contrario alle autonomie andava rafforzandosi. Fa nomi e cognomi, con sarcasmo e irriverenza li indica come retrogradi centralisti, incapaci di guardare quel riconoscimento federalista come una conquista democratica nel rispetto delle legittime aspettative dei Popoli.

Burocrazia centralista

L’attacco si fa circoscritto e puntuale: «La burocrazia centrale, - declama Lussu - rispettabile ma sempre burocrazia e sempre centrale, ha creato una specie di oligarchia federata ed ha costituito un fronte unico antiautonomistico, deciso a battersi, dirò così, sino all’ultima cartuccia unitaria della riserva dell’esplosivo centralizzato». Parole di fuoco, nonostante il ritardo colpevole con il quale la Consulta Regionale Sarda, criticata da Lussu, aveva perso l’attimo fuggente per accettare l’estensione dello Statuto siciliano, già approvato e molto più ricco, a quello sardo. Settantaquattro anni dopo le parole di Lussu risuonano profetiche nel Palazzo della Consulta dove da mesi i Giudici Costituzionali sono chiamati a riequilibrare la storia, sempre più protesa a favore dei nemici dell’Autonomia Speciale della Sardegna.

Filo rosso

Il filo rosso tra le parole di Lussu e il ricorso della Regione sarda alla Corte Costituzionale in materia di “Governo del territorio” e “Tutela del Paesaggio” conferma che quel clima gelido non solo non si è attenuato, ma volge verso l’ostilità più dura. La richiamano senza mezzi termini nelle arringhe finali i legali della Regione, il professor Benedetto Ballero e l’avvocato Mattia Pani: c’è un’ostilità palese degli apparati statali nei confronti dell’Autonomia Speciale con il chiaro obiettivo di ignorare norme di rango costituzionale che si vorrebbero annientare con leggi ordinarie o insignificanti atti amministrativi degli uffici di Roma. Il riferimento è esplicito a quanto sta accadendo sulla legge regionale numero 1 del 2021, il cosiddetto “Piano Casa 2”. Il Governo ne ha disposto l’impugnativa totale, con un’argomentazione generica e superficiale, errata nella ratio e nella logica. In pratica - dice il governo - la legge approvata dal Consiglio regionale ricade totalmente nell’ambito delle “riforme economico sociali” che lo stesso Statuto Regionale rimanda alla competenza esclusiva dello Stato. I palazzi di Roma, che mai hanno varato una riforma economica sociale a favore della Sardegna, ora pretenderebbero di sostenere che la Regione non può disciplinare “il Piano Casa” perché lederebbe una competenza generica in capo esclusivamente allo Stato. Tutto questo con l’obiettivo di sottrarre alla Regione due competenze esclusive: il Governo del Territorio e la Tutela del Paesaggio.

Il decreto dimenticato

L’avvocatura di Palazzo Chigi va oltre: ignorando, o facendo finta, che la competenza sulla Tutela del Paesaggio, seppur non scritta chiaramente nello Statuto, è stata, poi, invece, totalmente ricompresa nelle Norme di Attuazione varate il 22 maggio del 1975 con un Decreto del Presidente della Repubblica, il numero 480. E’ questo il caposaldo della contesa. Quel Decreto del Capo dello Stato è una norma pacificamente superiore sul piano gerarchico a qualsiasi legge ordinaria dello Stato. Violarla significherebbe cancellare alla radice la valenza costituzionale dello Statuto e delle sue norme di attuazione. In pratica significherebbe radere al suolo il voto della Costituente prima e del Parlamento dopo che hanno riconosciuto quella valenza “speciale” agli statuti autonomistici. Sono le firme in calce a quel Decreto a far comprendere la sua autorevolezza non solo istituzionale, ma anche, e soprattutto, politica.

Da Moro ad Andreotti

Firma il Capo dello Stato Giovanni Leone, ma la proposta è sottoscritta di pugno da Aldo Moro, Presidente del Consiglio dei Ministri, da Giulio Andreotti, Ministro del Bilancio e Programmazione, Emilio Colombo, Ministro del Tesoro, Bruno Visentini, Ministro delle Finanze, Carlo Donat-Cattin, Ministro dell’Industria, Giovanni Marcora, Ministro dell’Agricoltura e, soprattutto, Giovanni Spadolini, Ministro dei Beni Culturali e Ambiente. E’ proprio quest’ultimo che avalla l’art.6 delle Norme di Attuazione del Decreto: «Sono trasferite alla Regione Autonoma della Sardegna le attribuzioni già esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero della Pubblica Istruzione ed attribuite al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali nonché da organi centrali e periferici di altri Ministeri. Il trasferimento predetto riguarda altresì la redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesaggistici». Il dispositivo finale della norma rafforza ancora di più la potestà esclusiva della Sardegna: «La Regione potrà avvalersi, per la redazione dei predetti piani, della collaborazione degli organi statali preposti alla tutela delle bellezze naturali e panoramiche». «Potrà», non deve. «Collaborazione», non obbligatoria copianificazione. E’ questa la norma che il Governo e lo Stato vorrebbero cancellare a colpi di “temerarie” impugnazioni costituzionali, in totale contrasto con espliciti pronunciamenti della stessa Corte Costituzionale che ha più volte ribadito le competenze della Regione sarda anche in tema di paesaggio.

Poteri trasferiti

Anche allora, come oggi, le risorse destinate con quel Decreto alla Sardegna, erano ridotte all’osso, ma l’obiettivo era quello di «trasferire» alla Regione tutta una serie di competenze esclusive non puntualmente definite con l’approvazione dello Statuto. Un atto di sanatoria, con la piena valenza del rango costituzionale della norma. E che, ora, lo Stato stia tentando un “golpe bianco” sull’Autonomia della Sardegna lo si evince da alcuni passaggi che vanno ben oltre l’oltraggio costituzionale. L’esempio è fulminante quando si raffrontano le norme urbanistico-paesaggistiche approvate dalla Regione Emilia Romagna, Regione ordinaria, vedi l’art. 19 bis, comma 1 ter della L.R. n. 23/2004, con quelle impugnate dal Governo ai danni della Sardegna, per esempio l’art.19 della legge regionale n.1 del 2021. Le norme sono uguali, per la Sardegna, Regione a Statuto Speciale, il governo la impugna davanti alla Corte Costituzionale, per l’Emilia Romagna non ha mosso un solo rilievo. E’ la conferma dei due pesi e due misure. La Sardegna, Regione a Statuto Speciale, bistrattata e contrastata, le Regioni ordinarie, con legislazione concorrente, invece, favorite e tutelate.

Il precedente della Corte

Le memorie difensive della Regione sarda non glielo mandano a dire: «L’impugnazione del governo è così totalizzante che mira a precludere ogni potestà legislativa autonoma alla Regione, con riferimento alla materia urbanistica e di tutela del paesaggio». La pretesa è quella di mettere la Regione sarda sotto scacco, commissariandola di fatto, attraverso la malsana teoria (inesistente in qualsiasi Regione italiana) secondo la quale ogni scelta di programmazione della Sardegna dovrebbe essere condivisa con il Ministero.

Una follia costituzionale, un attacco politico e istituzionale senza precedenti. Del resto la Corte Costituzionale sul tema si è già espressa con la sentenza n.51 del 2006: «La Regione Sardegna dispone, nell’esercizio delle proprie competenze statutarie in tema di edilizia ed urbanistica, anche del potere di intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico-ambientale».

L’abc delle fonti

L’abc della gerarchia delle fonti, ovvero la preminenza di una norma rispetto ad un’altra, viene totalmente stravolto dal Governo, ignorando persino il pronunciamento più esplicito della Corte Costituzionale che, senza orpelli, già nel 2006 aveva sentenziato: «Le norme di attuazione degli Statuti Speciali possiedono un sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia speciale, e non possono essere modificate che mediante atti adottati con il procedimento appositamente previsto negli statuti, prevalendo in tal modo sugli atti legislativi ordinari».

Norma immodificabile

Dunque - dice la Corte – nessuno può modificare con leggi ordinarie le Norme di Attuazione, che valgono quanto lo Statuto di rango costituzionale. L’atto di impugnazione dello Stato è, dunque, una dichiarazione di guerra alla Specialità autonomistica con un danno non solo alle prerogative costituzionali della Sardegna, ma anche sul piano economico. La sola impugnazione ha generato all’economia dell’Isola un danno incalcolabile, bloccando miliardi di euro di investimenti, pubblici e anche, soprattutto, privati, tutti capaci di generare un rilevante effetto moltiplicatore sullo sviluppo e l’occupazione. Ora è tutto bloccato. Il tema non è se le norme del Piano Casa sono più o meno condivisibili, la questione va ben oltre le differenze di opinione e di parte politica: in ballo c’è il potere della Regione sarda, insieme ai Comuni, di decidere il Governo del Territorio in casa propria. Non proprio una questione secondaria.

Il risveglio centralista

Lussu, concludendo il suo intervento alla Costituente per l’approvazione della parte relativa alle Regioni a Statuto Speciale, non esitò ad affermare: «Bisogna riconoscere che questa riforma, che questa grande riforma, ha svegliato di soprassalto non poche abitudini centraliste assopite, anzi diciamo pure addormentate. E si fa in fretta a passare dallo stato d’allarme allo stato di guerra: ora – concluse Lussu - siamo in piena ostilità». Oggi, come allora, in discussione c’è la libertà di governare il proprio territorio senza le ostili invasioni di Stato, nel rispetto della Costituzione e dello Statuto Speciale della Regione Autonoma della Sardegna.

(2.continua)

Mauro Pili

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