Il passaparola per anni è sempre stato silenziosamente lo stesso: guai parlare di salute nei luoghi di lavoro. Il ricatto è sempre stato subdolo e latente. In questa terra di predatori di Stato, e non solo, il problema ambientale, però, era scolpito forte e chiaro in ogni anfratto. Dalle discariche dei veleni, disseminate in lungo e in largo, sino a quelle ciminiere rivolte al cielo, come se niente da lassù potesse mai riadagiarsi sulla testa di questo territorio. Così, invece, è stato, drammaticamente. I dati, quelli sulla vita e sulla morte, sulle malattie e sulle cause, sono stati sempre un tabù, da nascondere, da non chiedere. Eppure ce ne sarebbe stato da scoprire, per comprendere e porre rimedio, laddove questo fosse stato ancora possibile. È sembrato scorrere tutto nel silenzio, nell’indifferenza, sino a quando quella percezione di ambiente insalubre da tenere sotto traccia si è schiantata con la realtà.

Sos mortalità

Lo abbiamo scritto nella prima puntata della nostra inchiesta su salute e ambiente in questa terra dimenticata da tutti. Nel Sulcis, quello dei sei comuni dell’area intorno all’area industriale, Calasetta, Carbonia, Carloforte, Gonnesa, Portoscuso e San Giovanni Suergiu, i riscontri sono da brividi: i decessi per malattie dell’apparato respiratorio sono il 50% in più di qualsiasi altro territorio. Si muore molto di più e per malattie che colpiscono polmoni, trachea e bronchi. Un dato che da solo dovrebbe costituire un vero e proprio allarme sanitario da sottoporre, senza ulteriori indugi, all’attenzione di un piano straordinario e urgente di screening sanitario, serio e credibile, dell’intera popolazione, compreso l’avvio di un imponente Piano Marshall per il risanamento ambientale per eliminare le cause di ieri e di oggi di questo nefasto effetto “mortalità”. Il rischio che dati di questa rilevanza, quali quelli rivelati dall’inchiesta del nostro giornale, possano finire nell’oblio generale è latente, rendendo l’indifferenza ancora più devastante degli stessi decessi “respiratori” registrati dai rapporti sanitari.

«Fanno eccezione i soli...»

I report rimasti segretati hanno un nome in codice, Standardized Mortality Ratio, Rapporto Standardizzato di Mortalità. Nel dossier finito nelle nostre mani l’acronimo SMR dovrebbe servire ad alleviare la lettura di quelle analisi. Gli autori tentano anche di annacquare i punti cruciali con premesse e formulazioni tutte protese a rendere meno dura la realtà. Poi, però, se fai le somme e le sottrazioni di vocaboli aggiunti come edulcorante per l’esterno, ti rendi conto che le affermazioni sono fucilate: ti scrivono come premessa che non ci sono eccessi di morti per tumori nell’insieme dei comuni per poi aprire una parentesi che ti blocca il fiato. Dichiarano nessun eccesso significativo, per poi aggiungere, come se niente fosse: «fanno eccezione i soli soggetti maschi del Comune di Portoscuso che mostrano invece un eccesso significativo di tumori del colon retto (eccesso che non si registra tra le femmine dello stesso comune)».

A scuola di “mitigazione”

I redattori del rapporto firmato da T.En Italy Solution S.p.A. fanno ricorso come un mantra alla regola di anticipare il colpo duro con altrettante affermazioni strumentalmente positive. Ci tentano con formule criptate e arrivano a scrivere: “fanno eccezione i soli soggetti maschi”. Come se quella “eccezione” fosse una marginalissima constatazione. Tutti dati che compaiono oggi per la prima volta, con una premessa che lascia comprendere l’approccio storico a questa vicenda: «Con riferimento alla provincia del Sud Sardegna si deve osservare – è scritto nel report – che i dati di popolazione e di mortalità relativi a tale provincia sono disponibili solo a partire dal 2018». Prima il buio più totale. La rivelazione della mortalità superiore del 50% per le malattie respiratorie nel Sulcis, però, non significa che il silenzio sta compiendo passi indietro. Il dossier recita: «Si evidenzia che, per quanto concerne i decessi, i ricoveri e l’incidenza di patologie per le quali fosse disponibile un registro (tumori, malformazioni), Rina Consulting S.p.A. per conto della Snam, con pec del 1° luglio 2021 ha fatto richiesta agli enti competenti degli indicatori riferiti ai dati più recenti disponibili. Al momento di emissione del presente documento non è pervenuta alcuna risposta da tali enti». Tredici ulteriori mesi di silenzi, eloquenti, senza appello. I riscontri tumorali, le malattie respiratorie che emergono da questo rapporto rischiano, dunque, di essere la punta di un iceberg.

Buco nero

Per capire il “buco” nero delle analisi, dei mancati riscontri sul territorio, siamo andati oltre i dati. Nelle scorse settimane abbiamo rivelato la storia incredibilmente surreale di quei “secchielli” di plastica sparsi di qua e di là per raccogliere polveri e inquinamento, posizionati in luoghi ameni, fuori da ogni buon senso anche per i più profani. Secchielli modello “olive in salamoia” marchiati Arpas, Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Sardegna, adagiati sotto gli alberi a raccogliere il niente. Abbiamo atteso invano uno squillo di telefono, un comunicato, una nota che spiegasse la bontà di quel tipo di analisi, tanto rudimentali quanto destituite di ogni valore scientifico. Il silenzio delle istituzioni e degli enti preposti non ha fatto altro che avvalorare la funzione effimera di quella “raccolta” insignificante di inquinamento. E, infatti, in anni di presunte analisi, poco o niente è emerso da quei “secchielli tipo oliva in salamoia” sistemati sotto querce o eucaliptus a due passi dalle discariche o dalle ciminiere dismesse dell’area industriale di Portovesme. Le analisi, però, in questa terra avvelenata, non si fermano a quei secchielli. Nei report finiti nelle nostre mani si parla della rete di monitoraggio, quella teoricamente più sofisticata, per l’analisi di dettaglio delle sostanze inquinanti più pericolose, le famigerate polveri sottili, capaci di “perforare” polmoni e non solo. Il caso di Portoscuso è quello più rilevante. Centraline scomparse, cancellate dai report, nascoste sotto la vegetazione, prive di un riscontro oggettivo, in posizioni a dir poco sconcertanti. Nel centro abitato di Portoscuso ne hanno piazzato tre.

Dentro Portoscuso

Siamo andati a scovarle. La prima, quella ipoteticamente più importante, ha un nome in codice: CenPS4. La sua posizione è all’incrocio tra via Palermo e via Pisa. L’orizzonte è inconfondibile: la torre gigante dell’Enel si staglia nel cielo rarefatto. Un cumulo di ruggine e abbandono, ma soprattutto circondata da alberi e palazzi. I rami e le foglie “proteggono” i sensori, come se dovessero impedire di registrare quel che l’aria trascina impunemente nelle vie del paese. La domanda sorge spontanea: in quell’angolo sono state sistemate prima le piante o la centralina di monitoraggio? È possibile che nessuno abbia percepito quel che stava accadendo in quel fulcro di teoriche analisi atmosferiche? Di certo il tecnico che ci accompagna ne ha visto di tutti i colori, ma mai avrebbe immaginato che si potesse osare tanto.

Fuori uso

La sintesi è serafica: centralina inutile, dati sfalsati e mitigati da palesi ostacoli al funzionamento dei sensori. Ci spostiamo ai margini del centro abitato: la seconda centralina è la CenPS2. La postazione è fuori uso. Tra le migliaia di pagine del report del resto è scritto: «È importante notare che la stazione CENPS2 non rispetta, per la sua ubicazione, i criteri previsti dalla normativa vigente (in termini di distanze dalle fonti emissive) e non risulta rappresentativa dell’inquinamento medio dell’area. Per tale motivo, la stazione CENPS2 è stata dismessa in data 01/10/2018». Ovviamente, in 4 anni, mai sostituita o spostata. Le analisi si sono limitate ad escluderla come niente fosse dal conteggio, come se eliminare una centralina delle tre fosse un semplice calcolo aritmetico. Ma c’è di più, nei dossier sulla qualità dell’aria dell’anno precedente si può leggere: «È importante rilevare che la stazione CENPS2 è posizionata in un punto di inquinamento particolarmente elevato (“hot spot”) che differisce dai criteri previsti dalla normativa vigente (in termini di distanze dalle fonti emissive) tale da non essere rappresentativa dell’inquinamento medio dell’area». Hanno tolto, insomma, quella dove l’inquinamento registrato era maggiore. Ognuno può farsi una domanda e darsi una risposta. A Portoscuso ne resta una: la CenPS7. L’hanno “buttata” dietro il cimitero del paese. L’orizzonte visivo è emblematico: piazzata davanti alle ciminiere, con alle spalle il camposanto del paese. Non proprio una posizione ben augurante.

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