"L'avete fatto a me". È una frase semplice quella che accompagna da decenni l'attività dell'associazione "Le cinque parole" di Carbonia. È un nome tratto dal Vangelo (secondo Matteo), dalle parole che Gesù pronuncia invitando i discepoli alla carità verso il prossimo, quella carità verso chi è affamato e assetato, chi è forestiero, chi ha un colore della pelle diversa e chi ha un passato difficile con il quale convivere.

Da decenni i soci di questa piccola associazione di Carbonia lavorano senza sosta raccogliendo vestiti, coperte, tovaglie, lenzuola, giocattoli e quant'altro possa servire a chi ormai non ha nulla e nessuno su cui poter contare. Una sensazione che in queste giornate di gennaio i volontari hanno provato sulla loro pelle quando hanno lanciato un grido di aiuto: "Le nostre casse sono vuote e noi non possiamo più permetterci una sede a pagamento. Se non troviamo un'alternativa dovremo chiudere i battenti".

Il messaggio era forte e chiaro: se entro la fine di gennaio non fosse arrivata una risposta da chiunque abbia a cuore la vita degli "ultimi" anche quell'armadio solidale sarebbe sparito.

I più ottimisti hanno pensato che questa notizia avrebbe innondato le pagine dei social network sempre pronti, a volte anche a sproposito e senza la minima informazione, a diramare il messaggio. Invece silenzio totale.

Nessuna parola di conforto da chi da sempre si batte il petto contro le ingiustizie di questo mondo. Nessun politico di destra, sinistra o centro si è esposto anche perché sarebbe stato difficile per tutti intervenire su un tema per certi versi spinoso. Già, spinoso almeno quanto può essere intervenire a favore di qualcuno per il quale mai si è mosso un dito. Ad esempio, circa cinque anni fa la precedente sede dell'associazione è stata distrutta da un incendio doloso: si trovava al centro di Carbonia e tanti ricordano la disperazione dei volontari nel dover interrompere la propria attività. Ma nessuno ricorda le parole di conforto da parte della politica, destra, sinistra o centro, maggioranza o opposizione che fosse. Oggi come allora i volontari furono lasciati soli e ci volle la solidarietà di un privato per far sì che l'attività in favore degli ultimi non si interrompesse. Quella offerta in via don Orione, ovviamente, non sarebbe potuta essere una sistemazione definitiva e questo i volontari lo sapevano bene. un privato ha delle spese: paga le tasse per i suoi immobili e senza percepire un affitto le cose si complicano: "Noi non possiamo permetterci di pagare un canone alto quanto può essere quello di un locale privato spazioso in cui far stare tutto il nostro allestimento -ha spiegato il responsabile dell'associazione Pietro Saliu indicando centinaia di capi di abbigliamento organizzate per taglia e per stagione, generosamente donaei dai cittadini a Carbonia e in tutti i centri del Sulcis dove lavorano instancabili volontari che si coordinano con Le cinque parole.

L'incendio che nel 2015 ha distrutto la sede de Le cinque parole (foto archivio Unione Sarda)
L'incendio che nel 2015 ha distrutto la sede de Le cinque parole (foto archivio Unione Sarda)
L'incendio che nel 2015 ha distrutto la sede de Le cinque parole (foto archivio Unione Sarda)

E dire che per rendere i volontari autonomi basterebbero circa undicimila euro all'anno, una cifra assolutamente esigua paragonata all'immenso lavoro fatto ogni giorno in aiuto del prossimo arrivando dove le istituzioni non arrivano.

Eppure nessuno ha recepito il messaggio in questa città dove mancano tante cose ma di sicuro non i locali sfitti e desolatamente vuoti. Nei social nessuno ha fatto l'elenco degli edifici comunali, provinciali e regionali, sparsi in ogni angolo della città, sia in centro sia in periferia, locali che potrebbero essere perfetti per ospitare un'attività senza scopo di lucro che per centinaia di famiglie rappresenta la sopravvivenza. "Ci hanno chiamato semplici cittadini per esprimerci solidarietà, ci hanno chiamato persone che usufruiscono del nostro servizio e ci hanno chiamato tanti volontari anche dai Comuni vicini e perfino da Cagliari per darci consigli e suggerimenti". Ma nessuna telefonata, nemmeno per una parola di conforto, è arrivata da rappresentanti di Comune, Provincia, Regione o qualsiasi altro ente: "Un silenzio assordante - ammette Pietro Saliu - neanche una telefonata di "circostanza", ci siamo davvero sentiti abbandonati".

Gennaio è finito, il triste ultimatum dei volontari è scaduto e la saracinesca di via don Orione probabilmente non sarà più riaperta. Ma i volontari credono davvero in quelle cinque parole che hanno sempre inspirato il loro lavoro e chi li conosce bene sa che non fermeranno. Semplicemente ora hanno ben chiaro su chi non fare affidamento.
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