Quando hanno presentato il primo progetto offshore davanti all’Isola di San Pietro li hanno presi per matti. In molti hanno pure pensato ad uno scherzo in grande stile, una sorta di pesce d’aprile, una follia di mezza estate. Nessuno, quei due illustri sconosciuti forestieri del vento, del resto lì, a U Pàiže, li aveva mai visti. Di Carloforte, della rotta del tonno rosso, delle tonnare, del Pan di Zucchero, di Porto Flavia e dell’Isola maggiore, quella di Sant’Antioco, niente sapevano. Altrimenti mai avrebbero osato cotanto sfregio.

Ben informati

Forse per caso, o per rapporti non confessabili, avevano sentito raccontare, certamente da qualche ben informato, che con l’eolico a mare sarebbe arrivato presto un bastimento carico di denaro pubblico, incentivi esorbitanti da pagare con le bollette dei cittadini, a partire dai sardi. Un’informazione tanto ghiotta, quanto sufficiente per far diventare ricca sfondata una società inattiva da diecimila euro, sospesa tra uno scherzo e un terno al lotto.

Ichnusa Wind

Prosaicamente l’hanno dedicata all’antica Ichnusa, aggiungendogli l’auspicio di “Wind” e una sigla, srl, per indicare una società a responsabilità limitata, quelle che si fondano anche per una paninoteca itinerante. Il piano d’azione è visionario, nel senso di fantascientifico, roba da “day after” del mare, del paesaggio, della natura: una foresta di eliche rotanti da quasi 300 metri d'altezza (285 per l'esattezza) presentata nel silenzio più assoluto da una compagine surreale con sede al numero due di corso Vercelli a Milano, ma con le radici profonde in terra di Puglia. Il progetto che presentano davanti all’Isola di Carloforte lo definiscono come avveniristico, con tanto di grattacieli eolici da 100 piani galleggianti in mezzo al mare. Un susseguirsi di legami societari, poi, lascia comprendere che l'operazione del parco eolico galleggiante sul teatro incantato dell’Isola tabarchina è qualcosa di più che un progetto per avventurieri.

Dubbi & mistero

I dubbi sono alle stelle. Quando presenta il piano finanziario, quella compagine societaria a responsabilità limitata, con diecimila euro di capitale versato, ha appena svelato un progetto per un investimento da un miliardo e 400 milioni di euro. E, come se non bastasse, a tutto questo si aggiunge un intreccio incredibile di scatole cinesi tutte legate a Giuseppe Gino Carnevale, l'amministratore unico della “Ichnusa Wind srl” e a Luigi Severini, l'ingegnere-immagine del progetto. I due si incrociano come se niente fosse in assetti azionari tra i più variegati. La modestissima “srl” che per prima ha depositato il progetto del parco galleggiante nel mare sardo al Ministero dell'Ambiente è composta da altre due società e ognuna di esse ha versato 5 mila euro per accaparrarsi il 50% a testa delle quote azionarie.

Il socio di Auckland

Nelle scatole societarie spunta persino un neozelandese con le mani ben conficcate nel settore eolico, pronto a dare la copertura straniera alla scommessa su Carloforte. La maschera cala quando nel segreto dei Palazzi che contano si decide che quel progetto deve passare di mano. E’ l’ora dei potenti, di coloro che hanno le chiavi in mano delle stanze del potere di Roma.

In campo l’Eni

A farlo proprio, con importi milionari, è nientemeno che l’ente petrolifero di Stato, l’Eni, in compagnia della potentissima Cassa Depositi e Prestiti, la cassaforte statale. L’operazione è su larga scala con un tutor straniero, la “Copenhagen Infrastructure Partners”. Non è un caso, infatti, che da Roma spingano a dismisura questa devastazione a mare, con i potenti del petrolio di Stato pronti a tutto pur di conficcare quelle 42 pale sul proscenio di Carloforte. Da quel progetto apripista, era il 2021, ora in pole position su tutti, in quel tratto di mare è successo di tutto e di più.

Arrembaggio

Un vero e proprio “arrembaggio” eolico con sette progetti presentati per la Valutazione d’Impatto Ambientale e le stesse richieste di concessione per gli spazi acquei. Un vero e proprio assalto alla rotta dei tonni, con un danno strategico e non solo, visto che le perforazioni messe in campo dalle società offshore in quel tratto di mare hanno reso torbide le acque turchesi di Carloforte, tanto da far deviare il corso naturale dei pesci verso le tonnare fisse. L’assalto ora è di 269 pale ciclopiche, in molti casi sovrapposte, quasi a realizzare un impatto cumulativo da “muro” in mare, infliggendo all’intero specchio acqueo un danno incommensurabile, trasformando quell’oasi marina in un paesaggio industriale. I graduati di Stato, Capitanerie prima di tutti, scrivono senza remore: con questa invasione eolica, scriteriata, senza alcuna logica e pianificazione si mette a rischio la sicurezza marittima, la salvaguardia della vita umana in mare e la stessa polizia marittima. Il messaggio è chiaro: questo Far Eest è insostenibile. Carloforte, per adesso, è circondata.

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