Tre fasi di indagine nelle aree marine protette del Golfo dell’Asinara e di Capo Carbonara hanno portato al recupero di circa 2 tonnellate di rifiuti estratti dai fondali marini. Un bottino composto da reti a strascico, attrezzi da pesca persi o abbandonati, lenze, tramagli e nasse.

Un’attività che ha impegnato per un anno e mezzo i ricercatori Ispra, ente che guida il progetto Mo.Ri.Net “Monitoraggio, censimento, raccolta e avvio al riciclo delle reti fantasma”, frutto di un partenariato composto anche da PolieCo, Università degli studi di Siena, Amp Isola dell'Asinara e Amp Capo Carbonara. L’obiettivo è stato quello di rimuovere i rifiuti marini, in particolare reti perse o impigliate o parti di esse, precedentemente geolocalizzati, in due aree pilota: area marina protetta del Parco dell’Asinara, Golfo dell'Asinara e area marina protetta di Capo Carbonara.

I risultati verranno illustrati durante un incontro a Porto Torres presso la sede del Parco. Durante la prima fase del progetto, le due aree soggette a protezione sono state caratterizzate in termini di biodiversità, con la descrizione dei popolamenti presenti e l'individuazione di habitat, specie protette, zone di pregio e di rilevanza conservazionistica. Contemporaneamente, attraverso l’impiego di Multibeam e strumenti Rov sono stati determinati numero, tipologia e densità dei rifiuti marini per una prima valutazione dell’impatto di questi sulle comunità presenti. Sono stati, inoltre, effettuati campionamenti delle microplastiche e il prelievo di biopsie sui cetacei.

Nel Golfo dell’Asinara sono stati trovati mediamente 97 oggetti per chilometro quadrato, con un massimo di 732 oggetti, ma in alcune cale (4 su 37) nessun rifiuto è stato rilevato. La seconda, e più importante fase, ha permesso di rimuovere i rifiuti marini. Complessivamente, ne sono stati raccolte circa 2 tonnellate. Oltre all’ausilio del nucleo carabinieri subacquei di Cagliari, prezioso è stato il contributo dei pescatori che hanno collaborato al progetto, fornendo supporto logistico e raccogliendo a bordo dei pescherecci i rifiuti rimasti impigliati nelle reti durante la loro attività di pesca.

Le reti perse, disincagliate dal fondo dai subacquei, sono state quindi portate in superficie tramite palloni di sollevamento e salpate dai pescherecci che hanno offerto il loro supporto. Nella terza fase i rifiuti recuperati, vista l’impossibilità ad essere riciclati hanno preso la strada dello smaltimento. I ricercatori dell’Ispra, che costantemente monitorano i fondali marini con l’ausilio del Rov, hanno osservato come i rifiuti e gli attrezzi da pesca persi interagiscano negativamente con l'ambiente marino. I danni sono riconducibili principalmente al fenomeno dell'entanglement, ovvero al ricoprimento, abrasione e/o completa copertura degli organismi. 

© Riproduzione riservata