«Dal di fuori non potete neppure immaginare che cosa ci sia dentro un carcere. Non ci viene concesso nessun beneficio, nonostante ci siano molti con le carte in regola. La situazione è al collasso e dentro le celle siamo stipati come bestie».

Così si legge in una lettera anonima, probabilmente scritta a nome di un detenuto comune e imbucata nel portalettere delle abitazioni di via Sant'Apollinare e nel centro storico di Sassari.

«C’è sporcizia ovunque, per non parlare delle persone che tentano il suicidio, un degrado strutturale e organizzativo. Chiediamo di far sentire il nostro grido di disperazione: qua non c’è nulla di rieducativo se non 600 persone buttate nelle celle senza fare niente tutto il giorno». E poi ancora: «Questo non è rieducare ma indurre una persona al suicidio. Siamo murati vivi».

Tra i destinatari della missiva anche Gianluigi Onida, componente del comitato di quartiere Latte Dolce e Santa Maria di Pisa. Non ha visto chi l’ha imbucata ma conosce la problematica: «Raccolgo testimonianze di amici e di mogli di detenuti e non è accettabile che non abbiano diritto all'acqua imbottigliata», sostiene. «Chi non ha soldi non può essere costretto a bere l'acqua dei rubinetti in carcere. Nessuno pretende di trovarsi in hotel, ma di scontare la propria pena nel rispetto della dignità umana».

Per Onida «il carcere deve anche recuperare vite, ove possibile. Offrire riscatto per detenuti che rientreranno a far parte della società, tramite lavoro e altre iniziative. Che però a quanto pare scarseggiano o addirittura sono del tutto assenti». La lettera termina dando appuntamento ai cittadini, per venerdì 27 ottobre alle ore 17.30 a Porta Sant’Antonio, per una mostra informativa sul carcere e la possibilità di ascoltare alcune testimonianze di chi è stato recluso.

La missiva potrebbe essere il frutto dell’idea di qualcuno, magari fuori dalle sbarre ma con contatti all’interno,  proprio per cercare di sensibilizzare qualcuno su un tema importante. 

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