Il 5 dicembre scorso dopo anni di immobilismo è stato proclamato uno sciopero nazionale dei dipendenti del nostro Servizio Sanitario. È del tutto evidente che non è stato uno sciopero corporativo a difesa di medici e infermieri. Soprattutto dopo tanti anni lo sciopero era a difesa della sanità pubblica.

Dobbiamo partire da un dato, e cioè quanto spendiamo per la nostra salute. Ebbene, la spesa sanitaria del cosiddetto Belpaese è per 47 miliardi inferiore alla media europea e più nel dettaglio la sedicesima per spesa pro capite. 

Se mettiamo assieme i 41,5 miliardi spesi, nel 2022, di tasca propria dagli italiani per la salute con la spesa sanitaria pubblica che è stata superiore a 130 miliardi, la spesa privata risulta essere il 24% di tutta la spesa sanitaria. Pertanto complessivamente nel 2022 abbiamo speso 172 miliardi. Facciamo un passo indietro. Guardiamo alla riforma sanitaria della Germania. Tra il 1999 ed il 2004, un ospedale ogni 10 è stato chiuso. Il numero dei posti letto è stato ridotto del 20%. La degenza media è stata ridotta del 38%, mentre il numero dei pazienti ricoverati è aumentato del 20%. Per questi motivi i medici delle cliniche universitarie e delle municipalità sono stati costretti ad accettare carichi di lavoro sempre più pesanti. A marzo del 2006 l’unione dei medici, il Marburger Bund, denunciava infatti che l’orario di lavoro, nella pratica, si era dilatato fino a toccare le 80 ore settimanali per medico. Per questo motivo 15mila medici degli ospedali universitari erano scesi in sciopero e dopo tre mesi di contrattazione accettarono una mediazione che migliorava orari di lavoro e retribuzione. Alla fine di giugno del 2006, i medici degli ospedali pubblici della Germania, 70mila medici di 700 cliniche municipali, si unirono ai loro colleghi dell’università nello sciopero. Chiedevano migliori condizioni di lavoro e di retribuzione simili ai loro colleghi universitari. La condizione della nostra sanità non è molto diversa da quella delineata dalla riforma voluta da Gerhard Schröder. La crisi del nostro servizio sanitario è racchiusa in una privatizzazione strisciante, nella mancanza di certezze dei cittadini e nella disaffezione di medici e infermieri. Lo sciopero è servito comunque a sostenere le migliaia di cittadini che in ogni regione hanno fatto sentire la loro voce per “salvare il servizio sanitario”. Secondo Eurostat il numero dei medici per 1000 abitanti risulta essere di 3.9 con la Sardegna al primo posto in Europa con 4,75 medici ed il Piemonte all’ultimo con 3,5. Comunque sia, posto che questi dati sono corretti come mai in Sardegna la sanità pubblica ha una forte carenza di nuove leve di medici e l’età media dei medici in servizio è alta? E poi mentre i medici nuovi assunti han bisogno di essere formati la sanità privata può contare sulla folta platea di medici già formati, i pensionati. C’è da aggiungere che il lavoro in ospedale, con la digitalizzazione, è molto cambiato perché il lavoro al computer occupa dal 30 al 40% della giornata lavorativa. Nonostante ciò siamo all’anno zero nella cartella clinica elettronica. Bisogna saper dare una visione di insieme al complesso pianeta salute per capirne i significati e dare risposte razionali. Come in tanti aspetti della nostra esistenza siamo di fronte a diritti e doveri. Diritto di essere curati quando ci si ammala e le cure essenziali, per tutti i cittadini, sono sostenute dalla tassazione generale. E poi esiste il mondo abbastanza appartato del dovere di non ammalarsi. Prestiamo poca attenzione alla nostra salute. Diamo poco peso al controllo della pressione, al peso, all’attività fisica, all’alimentazione. Potremmo vivere meglio e dare più risorse alla medicina curativa.

Antonio Barracca

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