La riforma Schillaci, varata dal governo Meloni per far fronte all’emergenza sanitaria in tutto il Paese, non convince l’assessore regionale Armando Bartolazzi. Si tratta di misure condivisibili e di buonsenso, ammette, ma restano forti dubbi per l'assenza di stanziamenti aggiuntivi e per l'impatto economico. E soprattutto per il mancato coinvolgimento delle Regioni.

«A una prima analisi è chiaro che si condividono le misure ad alto impatto normativo come il Cup unico, le visite nei weekend e altre che costituiscono interventi di buonsenso», spiega il medico romano ed ex sottosegretario nel governo Conte. Interventi su cui però la Regione vorrebbe «aprire una discussione seria con il governo che purtroppo ancora non c'è stata», sottolinea Bartolazzi.

«Questo è un decreto su cui le Regioni sono state poco coinvolte, molto astratto e ancora privo di coperture finanziarie - evidenzia l'assessore -. Ci riserviamo, quindi, di valutare le misure ad alto impatto economico che andranno nel decreto legge, perché dovremmo avere quanto meno un concorso di spesa».

I dati di Sardegna Salute

Non solo carenza di medici e liste d’attesa sempre più lunghe: a penalizzare il sistema regionale sardo già in grande affanno c’è il fatto che dal 2007 la Sardegna provvede da sé al finanziamento del fabbisogno complessivo del servizio sanitario nazionale sul proprio territorio, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato. Nell'Isola, che conta poco meno di 1,6 milioni di abitanti, mancano circa 400 medici specialisti, cento medici di famiglia e una cinquantina di pediatri. Il dato, insieme a quello dei tempi medi di attesa per visite specialistiche ed esami porta alla drammatica crescita della quota di sardi che rinuncia alle cure, ben il 12,3%, per l'inefficienza delle strutture pubbliche, per le liste d'attesa insostenibili e per i costi eccessivi.

La fotografia attuale delle liste d'attesa nell'Isola emerge dai dati messi a disposizione dal portale Sardegna Salute: negli ultimi due anni le liste d'attesa "ad alta priorità" (da effettuare entro 10 giorni) si sono lievemente accorciate, mentre quelle per le prestazioni "differibili" (entro 30 giorni) e "programmabili" (entro 120 giorni) stanno peggiorando.

I tempi di attesa

Così, dalle cifre del monitoraggio ex ante delle prestazioni ambulatoriali in regime istituzionale, aggiornato alla settimana tra il 6 e il 10 maggio 2024, se per una visita urgente cardiologica l'attesa è in media di 7 giorni, per la stessa visita “differibile”, cioè da svolgere entro 30 giorni, se ne devono attendere 107. Per una prima visita endocrinologica “urgente” si supera di 5 giorni il limite imposto, mentre per un appuntamento “differibile”, invece del massimo di 30 giorni, si va a 131 giorni. La situazione peggiora con gli esami diagnostici: con 103 giorni di attesa per una tac dell'addome inferiore “differibile” e addirittura 460 giorni per una risonanza magnetica della colonna vertebrale o 135 giorni per una semplice eco color doppler cardiaca.

(Unioneonline/D)

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