Sono andati a prenderli dall’altra parte del mondo. Dal Sud America all’Ucraina, dalla Romania alla Spagna. Da terra di nessuno a enclave straniera alle pendici di Monte Arcosu. Dal promontorio di Santa Gilla è un attimo immergersi nella sconfinata devastazione di silicio “solare” “spiaccicato” in migliaia di ettari impunemente sottratti alla natura e alle terre agricole.

Checkpoint Arcosu

Qui, ti può capitare di tutto. Certamente non si passa inosservati. Se varchi quella sorta di “Checkpoint Charlie”, tra il confine sardo e quello “di fatto” americano, tra la zona industriale di Macchiareddu, mortificata da inquinanti fallimenti della storia, e i poderi che gli Yankee, quelli della più potente banca d’affari d’America, la JP Morgan, hanno conquistato a colpi di vagonate di dollari, rischi in un attimo di trovarti circondato da guardie giurate armate come se fossimo nei caveau di Fort Knox. Centinaia di telecamere, direzionali e rotanti, piazzate in ogni angolo di questo surreale paesaggio, stravolto in pochi mesi da migliaia di pannelli fotovoltaici impressionati sul terreno come se non ci fosse un domani.

Wall street osserva

I martelli perforanti avanzano come se non dovessero perdere nemmeno una battuta delle quotazioni di Wall Street, la Borsa finanziaria nel cuore di New York. Ogni giorno di luce solare in più, catturata da quella distesa infinita di specchi, è una catena di slot machine che riempie lo sconfinato portafoglio dei potenti finanzieri d’alto bordo sparsi in tutto il mondo. L’Oasi del Cervo, nell’esclusiva riserva di Monte Arcosu, la più vasta estensione di macchia-foresta e foresta mediterranea d'Europa, è stravolta per sempre. Qualsiasi sia l’orientamento della vista non c’è un solo sguardo che non resti abbagliato da un’operazione “coloniale” senza precedenti, con risvolti che aprono scenari drammaticamente sprezzanti per la Sardegna e i sardi.

Scudieri di guardia

I cantieri sono numerati, cancelli e presidio attivo ovunque, con ronde auto-munite e stanziali.Da proteggere c’è quel “ben di Dio” che finirà, tra vendita di energia a caro prezzo e incentivi miliardari, solo ed esclusivamente nelle casse della potentissima banca d’America. Addentrarsi in questa gigantesca opera di “impermeabilizzazione” dei terreni agricoli, significa toccare con mano il fiato sul collo di “scudieri” che con un monitor vigilano su centinaia di lavoratori sparsi in uno scacchiere che solo la Sonnedix, capitale americano in terra sarda, poteva mettere in campo. Centoventi campi di calcio, uno a fianco all’altro. Progetto da capogiro, con una società da diecimila euro venduta al braccio solare della JP Morgan per la bellezza di 33 milioni di euro. Un’operazione finanziaria senza precedenti. Una giravolta di società che nel cartello di cantiere si sintetizza con la «Sandalia Solar Farm», una srl da diecimila euro, registrata in Corso Buenos Aires a Milano. L’ingresso di “sardi” nel compendio straniero fa scattare immediatamente l’allarme. Via radio parte l’allerta rivolta ai lavoratori sparsi qua e là: non parlate con nessuno. Temono le telecamere, palesi e nascoste, come se avessero il timore di svelare chissà quale segreto. Ne hanno ben donde. Nei piani d’azione, quelli depositati al Ministero della “fantomatica” transizione ecologica, avevano impunemente dichiarato ricadute miracolose per la Sardegna e i sardi, per i territori e per i giovani “locali” affamati di lavoro. Parole al vento, fatte trasecolare come neve al sole. Il Vhf delle ricetrasmittenti, però, non arriva dappertutto. Il blitz giornalistico è articolato, in contemporanea su più fronti, nei poli opposti di questo cantiere senza fine. Quando il primo registratore video irrompe nel cantiere a sud, i lavoratori sono sparsi in un lotto di non meno di 20 ettari. Per “beccare” il primo nucleo straniero bisogna impolverarsi in una vecchia stradina di campagna trasformata in autostrada per tir e bulldozer. Lo sguardo di tutti è sincronizzato verso il basso, nel tentativo di eludere la presenza di forestieri venuti in avanscoperta in quella terra ormai straniera. La casacca è esplicita: Matosca solar, sede fiscale a Valenzia, Spagna autentica. Tutto fuorché impresa sarda.Sono loro i primi lavoratori che svelano il mistero di Monte Arcosu: “aquí todos somos españoles”, “qui, in questo cantiere, siamo tutti spagnoli”. Di italiano non spiccicano nemmeno una parola, ma lo capiscono. Raccontano la vita sarda in terra di pannelli fotovoltaici: in cantiere alle sette e trenta del mattino sino alle diciassette. La vita è sparsa tra residenze improprie, tra Capoterra, Uta, Assemini, ma non solo. I pulmini marchiati spagnolo con targhe straniere, svolgono la funzione del “solar-bus”, caricano - scaricano, e ritorno, con tante fermate. Altro nucleo, più ad est, verso la pedemontana, è nelle mani della Solergy MontaJes, altri spagnoli. Questa volta residenza fiscale a Villarrobledo, nella provincia di Albacete, nella comunità autonoma di Castilla-La Mancha.

Todos españoles

Sono più taciturni, rispondono solo al richiamo nazionale: «Españoles». Per trovare l’ennesimo nucleo straniero organizzato bisogna imbattersi in un vecchio casolare lasciato in fretta e furia dall’ultimo agricoltore della zona non appena l’area è stata stravolta dallo “tsunami” della JP Morgan. La “confessione” è immediata: români, che sta per rumeni. Quando gli chiedi se lavorano per le società spagnole nei cantieri a fianco rispondono stizziti: “Green tech”. Per rintracciarla bisogna arrivare sulla Strada Occidentului 39, Domnesti. Non un giro di ruota, ma ben 2.397 km percorsi in ordine sparso per raggiungere in macchina, dalla Romania, l’Eldorado di Monte Arcosu. Le utilitarie, “ormeggiate” in piazzole di fortuna, sono marchiate dalla sbiadita bandiera del Paese dell’Est. Raccontano dei colleghi dell’Ucraina e non solo, tutti dislocati “a zona” in quella distesa infinita di pannelli. Il registro delle firme nel gabbiotto di guardia nel quartier generale di Macchiareddu, però, sembra un foglio-presenze di un centro di rimpatrio, dai sudamericani ai solar-man del Magreb. Di tutto e di più. Nei campi solari di Monte Arcosu, però, di sardi non se ne trovano. Solo qualche incarico marginale, difficilmente individuabile.

Quelli dei treni “veloci”

I cantieri JP Morgan, del resto, sono affidati come general contractor ad una multinazionale spagnola, la Caf Italia. Non deve ingannare il richiamo italiano, la compagine capofila è un colosso tutto spagnolo ben noto in Sardegna: la “Construcciones Y Auxiliar De Ferrocarriles – S.A.”, la “Costruzioni e impianti di carri ferroviari”, quella che ha venduto i famosi treni “veloci” alla Regione Sarda. La Caf, quella registrata in Italia, incaricata di realizzare la grande distesa solare della JP Morgan, nella prima voce della ragione sociale conferma: costruisce, trasforma, assembla, vende ed esporta qualunque tipo di treno. Nell’Oasi del Cervo, a Monte Arcosu, invece, hanno costruito un binario morto, quello dello sviluppo. Devastato paesaggio e ambiente, con i sardi tagliati fuori. Qui lavorano, e guadagnano, solo gli stranieri, venuti da lontano.

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