Il canale tombato è rimasto lì, dov’era. La foce del corso d’acqua che dalle montagne di Bitti si schianta verso il paese è stata appena sagomata dopo la furia devastatrice di due anni fa. Pietre e cemento fanno bella mostra, come una sorta d’invito verso quella galleria sotterranea che si inerpica verso valle nelle viscere del paese, attraversando strade e abitazioni, piazze e negozi. La memoria qui, nella terra dell’ultima nefasta alluvione che si è abbattuta in Sardegna, era il 27 novembre del 2020, è scolpita nei volti e nei segni indelebili di un paese ferito come pochi altri.

Rattoppi

I rattoppi evidenti in ogni angolo del centro abitato sono la fotografia eloquente di un passato sempre attuale, di un’angoscia che incombe. A quasi tre anni da quella violenta scudisciata d’acqua ancora si discute di piani e progetti, senza mai fare i conti con la storia, quella che avanza senza freni, da quella climatica alla necessità di ripensare radicalmente l’assetto idrogeologico dei Comuni sardi. Nel passato un pò tutti avevano “risolto” il tema dei corsi d’acqua che attraversavano i paesi con un “coperchio” di cemento da sistemare lungo tutto l’alveo, pur di costruire, senza tregua. Il passato, ma soprattutto il futuro, non lasciano spazio a mezze misure: i parametri idrogeologici stanno mutando radicalmente, senza possibilità di perdere altro tempo.

Buco nero

Eppure, chiunque si affacci nei meandri della burocrazia regionale, sovrapposta e intrecciata a doppia mandata con quella statale, è costretto ad illudersi che qui, in terra sarda, non ci sia fretta, che ci si possa permettere ancora di soprassedere rispetto ai tanti campanelli d’allarme che dall’Isola al resto dell’universo non lasciano più dubbi. Metter mano a finanziamenti, stato dell’arte, tra progettazioni e appalti, tempi e cantieri, è un pò come avventurarsi all’interno di uno di quei tanti canali tombati che attendono come iene il momento per colpire. C’è di tutto nel vortice dei palazzi regionali e statali chiamati ad occuparsi di dissesto idrogeologico, di rischi e prevenzione. C’è il buio, quello che non lascia intravvedere procedure e stati d’avanzamento. C’è il caos, quello che si registra incrociando atti e delibere, una volta del Commissario di Governo per il contrasto del dissesto idrogeologico, in Sardegna è il presidente della Regione, e un’altra quella degli enti delegati. C’è il buco nero di risorse che giacciono in un tesoretto nascosto e inutilizzato, fermo al palo come se l’emergenza fosse solo un’ipotesi maldestra. Per ricostruire il quadro d’insieme bisogna affidarsi ai pochi, complicati, strumenti di monitoraggio, dichiarati come aggiornati in tempo reale, ma che poi si prendono almeno sei mesi di ritardo nella certificazione dei dati.

Caos monitoraggio

Immergersi nel buco nero del dissesto idrogeologico in Sardegna significa districarsi su due piattaforme statali, le uniche che sembrano monitorare stanziamenti e stati d’avanzamento. Uno è in capo al versante economico del governo, meglio nota come Agenzia Open Coesione, quella che monitora diversi canali di finanziamento statali, l’altro è più sul versante ambientale, la piattaforma Rendis incardinata nell’Ispra, il braccio ministeriale dell’ambiente delegato al rischio idrogeologico.

Smemorati di Palazzo

Negli ultimi dieci anni è stata decapitata un’infinità di unità di missione, di uffici di piano e di rischio, ognuno con un progetto di monitoraggio, proprio a lasciar intendere che il caos regna sovrano in tema di emergenza alluvioni, e soprattutto prevenzione. La Sardegna, quella politica e burocratica, sembra dimenticare la fragilità del suo territorio.

Le tragedie dimenticate

La storia recente ha segnato gli ultimi vent’anni con tragedie immani che si sono abbattute come terremoti d’acqua in lungo e in largo per l’Isola, dall’alluvione del 6 dicembre 2004 di Villagrande Strisaili, a quella di Capoterra e Assemini dell’ottobre del 2008, arrivando a quelle più recenti, dalla nefasta disgrazia di Olbia e Torpè, 18 novembre 2013, sino a quella ultima di Bitti, del novembre del 2020. Ci si potrebbe immaginare dopo tanta devastazione una corsa contro il tempo, per ripristinare strade e servizi, pianificare la messa in sicurezza dei territori, la strategia per un nuovo equilibrio tra l’ambiente e l’uomo, tra il clima e la vita quotidiana.

Plantigradi del rischio

E, invece, niente. I tempi non solo sono biblici, ma l’incedere è quello plantigrado di chi non ha fretta. Le ultime delibere adottate dalla Giunta Regionale confessano confusione e ritardi. Il disposto deliberativo che avrebbe dovuto pianificare le attività dell’unità di progetto, quella approvata il 19 dicembre del 2022, arriva persino a confondere il contrasto del dissesto idrogeologico con l’Unità di Progetto per gli “Interventi per l’efficientamento energetico”.

Soldi e mille rivoli

Sul quadro finanziario le somme sono variegate, a partire dagli stanziamenti disponibili. Open Coesione monitora, in capo al commissario delegato per la “realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico della Regione Sardegna”, stanziamenti per 270,5 milioni di euro, con dati aggiornati al 31 dicembre 2022. La piattaforma Rendis di Ispra, invece , mette insieme 419 milioni di euro di somme stanziate per contrastare il dissesto idrogeologico dell’Isola. L’unità di progetto della Regione, invece, con l’atto di programmazione di fine 2022 ha censito 318 milioni di euro. Un gruzzoletto, a dire il vero totalmente insufficiente per il quadro dei bisogni, composto dagli stanziamenti degli accordi di programma del 2010, con ben cinque atti aggiuntivi per un ammontare di 170 milioni di euro, dalle quote del fondo sociale di 106 milioni, dal piano stralcio 2021 per 12,7 milioni, 13 milioni da un decreto della Presidenza del Consiglio per 2021.

Monitoraggio

La piattaforma che articola in modo più evidente la situazione è quella in capo all’Ispra che prende in considerazione la cifra più ampia degli stanziamenti. Il quadro che ne emerge è disarmante. Sui 419 milioni stanziati risultano spesi appena 60, mentre ben 181 milioni di euro sarebbero ancora in fase di progettazione, mentre appena 9 sarebbero i milioni di euro aggiudicati per nuovi lavori. Secondo gli indicatori Ispram le opere in cantiere riguarderebbero 86 milioni di euro.

2% di cantieri conclusi

La mappa che fornisce, invece, Open Coesione è senza appello: sui 270 milioni stanziati e monitorati, per complessive 100 opere, risultano conclusi appena il 2% dei cantieri, il 73% progetti in corso, il 26% di progetti non avviati. I cantieri registrati come in corso, però, molto spesso, sono solo dei meri cartelli di inizio lavori. La realtà sul territorio è ben altra. Il quadro delle singole opere da quelle più imponenti, nei luoghi delle tragedie più gravi, da Olbia a Bitti, sino agli interventi meno rilevanti è molto più grave, con cantieri che registrano lo zero per cento di attività. Un quadro di dettaglio che la dice lunga su ritardi e negligenze per un dossier dove sarebbe servita fretta ed efficienza. Per ora, sul rischio, solo dormiveglia.

(1.continua)

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