Ore 4.33. E’ il 16 luglio dell’anno della pandemia 2020. La notte è ancora fonda sul Golfo degli Angeli. Il buio traguarda l’orizzonte. Da Castello, promontorio della Cagliari antica, il cielo si scorge irradiato dal fuoco acceso a mezzacosta, verso Giorgino. Le fiamme impetuose si intersecano con il soffitto del cielo. Maestrale impercettibile a bassa quota. Quello che sta accadendo oltre quei fiammiferi alti come grattacieli, inerpicati nel cammino di Sant’Efisio verso Pula, lo sanno solo i gabbiani d’alta quota. In quella città di ferro, con comignoli vergati di bianco e rosso, disseminati ovunque, le luci operative rendono la più grande raffineria del Mediterraneo una sorta di Las Vegas industriale. Qui, come nel gran casinò americano, scorrono tanti soldi. Lì petroldollari, qui euro. Il regno assoluto dei Moratti, i petrolieri sbarcati in Sardegna negli anni ‘60 per trasformare greggio nero in carburante, si adagia verso il mare come una propaggine balneare.

Notte d’estate

Eppure, in quella notte d’estate, come tante altre, il cielo azzurro senza luce è invaso da colonne infinite e dense del peggior fumo nero che una raffineria possa sprigionare. La Saras, Società Anonima Raffinerie Sarde, sta vomitando in cielo quello che gli impianti non riescono a trattenere. Nel comune sentire, insegnato dai padroni del tempio industriale, si tratta di sfiati regolari della produzione petrolifera, pressioni che devono essere obbligatoriamente scaricate in aria per evitare problemi agli impianti. Il più delle volte capita di notte, ma non è raro che il pennello di fumo dipinga i funghi neri anche nel cielo di giorno. L’odore acre e intenso, forte e chiaro, opprimente e insopportabile, si percepisce a chilometri.

Squilla il telefono

Squillano i telefoni della protezione civile, dei vigili urbani. Chi è già sveglio chiede di sapere cosa sta accadendo in quell’aria violentata da sempre senza preliminari. Il popolo della notte capisce che quelle vampate non sono ordinarie e che qualcosa di strano, rispetto alla norma già di per sé discutibile, sta accadendo. Quando l’alba si affaccia a Su Siccu, nella direttrice verso il Porto di Cagliari, si percepisce una ferita nel cielo terso d’azzurro. La colonna di fumo nero, prima verticale e poi piegata dall’alta quota, ha dispiegato per chilometri i suoi effetti dirompenti. Ci saranno proteste, composte, come al solito, come era capitato nei giorni prima, con quelle foto postate sui social come se la cronaca ambientale fosse roba da selfie. Eppure, la centrale operativa della Saras, ora uniformata in un solo nome, Sarlux, aveva l’obbligo di legge di dare l’allarme su quel che stava accadendo in vetta alle torce dell’impianto di raffinazione.

Il Vangelo dell’ambiente

L’Autorizzazione Integrata Ambientale è una sorta di Vangelo comportamentale per gestire la sicurezza dei grandi insediamenti industriali, figuriamoci in una raffineria. Entro otto ore dovevano essere allertati gli organi competenti in materia ambientale. In realtà lo hanno fatto, in piena notte. Il report dell’Arpas, l’agenzia regionale preposta al monitoraggio e controllo della Saras, registra la mail d’ingresso alle 4.33 del 16 luglio. Come vuole la norma. C’è un dettaglio, però. La mail è vuota. Nessun contenuto, registra il verbale dell’Autority ambientale. La missiva elettronica ha solo un oggetto: «Controlli Aia: impianto Sarlux – quantità giornaliere di gas inviata in torcia». Per il resto niente.

Bloccate a Villa d’Orri

Come se il percorso della mail, tra Villa d’Orri, estrema punta del compendio industriale verso Cagliari, e la sede dell’Arpas, in via Contivecchi, avesse inghiottito il contenuto di quell’alert ambientale. Quella mail vuota, però, è molto di più che una dimenticanza. Il circuito tra il "gestore” della raffineria e l’autorità di controllo ambientale, nelle leggi dello Stato, è sacro. E’ il filo rosso che lega un impianto industriale catalogato tra quelli più pericolosi e il controllo ambientale. Inviare, nella notte di un evento critico o peggio pericoloso, una comunicazione vuota significa non poter intervenire tempestivamente, costituisce un vulnus grave nei controlli ambientali del più rilevante insediamento petrolifero del Mare Nostrum.

Fumo nero

Quello che emerge dai verbali, tenuti sottotraccia, è, però, molto di più di un singolo episodio. La Cagliari che si affaccia sul Golfo degli Angeli da giorni stava assistendo a quelle funamboliche esibizioni di fumo nero e denso, invasivo e irrefrenabile che dalle ciminiere della Saras si irradiavano sulla costa. Quella mail vuota, in quei giorni, non sarà l’unica, come se un virus avesse attaccato il server della raffineria, incapace di trasmettere il contenuto delle immissioni in atmosfera in quell’estate campale. Il protocollo dell’Arpas è un’ecatombe.

Rabbrividire

La relazione riservata del Dipartimento Cagliari e Medio Campidano, Linea di intervento in emergenza dell’Arpas, blindata nei cassetti della Regione, racconta per filo e per segno i fatti. La scansione temporale e la sequenza delle mail vuote è da far rabbrividire. Scrivono i tecnici dell’Agenzia regionale di Protezione ambientale: «Al protocollo ARPAS risultano delle email inviate dalla Sarlux tra l’undici e il sedici di luglio prive di testo e con il solo oggetto: Controlli Aia: Impianto Sarlux S.r.l. - Quantità giornaliera di gas inviata in torcia». La mail vuote hanno date e ore. Accade l’undici luglio alle 12 e 57, si ripete il 12 luglio alle 15 e 02, resta senza contenuto anche la mail del 14 luglio alle 6 e 25 del mattino e, infine, quella del 16 luglio alle 4 e 33 minuti, priva di testo come le altre. Il responsabile Adempimenti Ambientali della Sarlux, fu Saras, è francescano, a modo suo. Ai tecnici dell’Arpas che gli chiedono conto di tali missive senza contenuto, con una sequenza così incalzante, si rivolge con il capo cosparso di cenere: «Tali email non contengono testo a causa di un errore dell’operatore che ha effettuato l’invio». Il superamento delle emissioni emergerà solo qualche giorno dopo con le relazioni obbligatorie.

Controlli negati

Peccato che sia un riconoscimento tardivo e inutile, soprattutto nelle valutazioni del quadro emergenziale e gli uomini dell’Arpas lo scrivono a chiare lettere: «Si mette in evidenza che l’assenza di contenuto delle e-mail del 11, 12 e 14 luglio non ha permesso di fatto all’autorità di controllo una eventuale verifica puntuale dell’adempimento previsto nel Piano di Monitoraggio e Controllo». Come dire: quel vuoto nelle comunicazioni ha impedito i controlli emergenziali previsti per legge. Non un semplice controllo dell’Arpas per le molestie olfattive di una friggitoria di patate nel cuore di Castello, ma le immissioni inquinanti nella più grande raffineria petrolifera nel Mediterraneo.

Disastro in aria

E del resto i report postumi di quei giorni nefasti sono riportati nella stessa relazione finale dell’Arpas dalla quale emerge un quadro fin troppo evidente: «continui superamenti dei limiti imposti per i gas inviati in torcia dal 09 al 15 luglio 2020». Alla fine i dati escono fuori e non ammettono silenzi. Scrive l’Arpas: «L’attuale limite di scarico in torcia giornaliero è di 281 tonnellate/giorno, abbondantemente superato nelle giornate dal 9 al 13 luglio 2020». La mappa degli sfondamenti dei limiti di immissioni non lascia speranza. Dalle 281 tonnellate/ giorno autorizzate si passa alle 311 tonnellate immesse in atmosfera il nove luglio, alle 856 del dieci luglio, alle 617, 9 del giorno successivo, alle 463,9 del dodici luglio, per giungere alle 695,9 del tredici luglio. A parlare sono anche le centraline piazzate nel centro abitato di Sarroch, le stesse sulle quali la Saras, attraverso la partecipata Sartec, voleva gestire partecipando all’appalto regionale. La Censa3, la centralina di monitoraggio ambientale dentro il paese, nello stesso periodo ha «registrato un aumento di benzene rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nelle giornate del 6, 7, 8 ,9, 11, 12 e 13 luglio». Ultimo dettaglio, quello dell’orario di registrazione del benzene.

Benzene notturna

Secondo le centraline di Sarroch i picchi si sono registrati, per la maggior parte, nel cuore della notte. Alle 2 del mattino del sette luglio i sensori di Censa 3, in via Rossini a Sarroch, hanno registrato un valore di benzene di 45.463, un bel salto rispetto allo 0.734 dell’anno prima e 0.443 del giorno prima. Numeri sufficienti per costringere la Regione a richiedere al Ministero di rimettere sotto esame l’Autorizzazione Integrata Ambientale della Saras. Ripartendo proprio dalla denuncia del 2016 dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione ambientale, che, in fase di verifica degli impianti, aveva alzato bandiera bianca: «il ruolo di Ispra, in qualità di organo accertatore, è di fatto superato dalle ripetute notifiche pervenute dal gestore (Saras) che dichiara di non essere nelle condizioni di rispettare i limiti emissivi attualmente vigenti». E’ la Saras a dichiarare che non rispetta i limiti di legge, perché non riesce a rispettarli. Nel buio della “Las Vegas” petrolifera di Sarroch c’è qualcosa che non funziona. E non sono solo le mail vuote.

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