Spesso fa paura, e spesso non si sa come affrontarlo. A volte non se ne pronuncia neppure la parola. Autismo. Uno spettro che nasconde molte insidie ma anche esempi di amore e dedizione.

La storia di Claudia, della sua famiglia e quella di Cesare ne sono un esempio. Un esempio di "rete" e di gestione positiva della patologia, "che non deve spaventare, non si deve negare", dice Claudia a UnioneSarda.it chiedendo di essere ascoltata perché la sua esperienza potrebbe essere d'aiuto ad altre famiglie. "L'autismo si deve affrontare con tutta la positività possibile".

È Claudia Lerz, docente (supplente) di Scienze Umane e Sociali, pedagogista da anni impegnata in questo ambito, a raccontare la sua vita con Cesare, il fratello 53enne affetto da autismo. "Quando sono venuta al mondo - racconta - Cesare era un ragazzino con tutto un repertorio già consolidato di specifiche problematiche". È stata questa la molla che ha fatto scattare in lei il desiderio di occuparsi, professionalmente, di questa malattia.

Dopo la laurea in Pedagogia a Cagliari è andata in Florida, con altri colleghi, e lì ha conosciuto tecniche di analisi comportamentale applicata, nota come ABA: "La scienza più efficace nel trattamento e nell'educazione del disturbo dello spettro autistico, così come viene definito dal manuale statistico e diagnostico".

Chi è Cesare?

"Prima di tutto è mio fratello, ha 53 anni, e soffre di un disturbo dello spettro autistico. Vive con nostra madre, dopo che nostro padre è venuto a mancare tre mesi fa, ma tutti noi, in totale 4 figli, siamo costantemente presenti. Da gennaio frequenta l'associazione A18 di Monastir, una realtà che ha attivato un centro diurno, accreditato dall'Ats Sardegna, con l'obiettivo di educare e formare adolescenti e adulti con autismo. È il primo pensato ad hoc per loro, che individua quelle che possono essere le passioni o i punti di forza delle persone e crea percorsi individualizzati. Poi ci sono percorsi cognitivi di insegnamento di abilità funzionali specifici in base alle diverse età, perché non tutti sono bambini. In famiglia è un conto, un adulto può restare tutto il giorno con un peluche in mano, ma l'esterno è un altro discorso".

Tutta la famiglia: papà Massimo, mamma Pina, Cesare, Fabrizio, Alessia e Claudia
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Come ha vissuto la situazione di Cesare?

"Da quando avevo 15 anni ho iniziato a considerare l'autismo con un grande senso di responsabilità, che si è tradotto poi in preoccupazione costante per la costruzione del suo futuro, e anche per come aiutarlo con strategie per migliorare ogni giorno. Cesare è nato nel 1966, quando è arrivata la diagnosi aveva 4 anni, all'epoca era un grande risultato poter parlare di un disturbo preciso".

Com'è in famiglia?

"Molto affettuoso e sensibile, comunica prevalentemente con lo sguardo, io dico sempre che ha due occhi che parlano, non avendo nel suo caso un linguaggio verbale dato che, nell'infanzia, non ci sono state terapie attive. Non può trasmettere le sue emozioni, né comunicare i suoi bisogni. Non può dirci come sta o di cosa ha bisogno. Però ha un certo grado autonomia per piccole cose: mangia col cucchiaio, meno con la forchetta, e non usa il coltello. Ha una certa passione per i bagni, quando andiamo a casa di qualcun altro ha la tendenza ad aprire tutte le porte, poi si rasserena. Anche questo sarà oggetto di lavoro con lui".

E in passato?

"Ha sofferto di picacismo, ossia ingeriva cose non commestibili come terra, pietre, carta. Per anni è stato aggressivo verso se stesso con forme di autolesionismo che ci hanno messo profondamente in crisi. Ho iniziato a capire che qualcosa non quadrava quando era un preadolescente e io avevo 5 o 6 anni. Chiamavo i miei genitori, chiedendo il loro intervento, perché Cesare si denudava o mangiava la terra".

I quattro fratelli e l'amore per Cesare
I quattro fratelli e l'amore per Cesare
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Com'era la vostra vita in famiglia?

"Con quattro figli c'era la tipica confusione che si può immaginare, ma una cosa su tutte è stata importante: i nostri genitori non ci hanno mai fatto vivere la situazione di Cesare come un peso o un problema. Non abbiamo mai rinunciato a fare qualcosa o ad andare in certi posti perché c'era lui, ma ci siamo sempre organizzati: qualcuno andava, qualcuno restava e faceva altro. Questo ha fatto della nostra famiglia un punto di forza, con l'alleanza e la serenità, e non ci siamo mai disperati".

I genitori vivono l'autismo dei figli in modo diverso rispetto ai fratelli?

"Sono emozioni diverse. A 10 anni non potevo avere la stessa visione che ho oggi, con tutte le sensazioni e le preoccupazioni, oltre che la responsabilità. Sicuramente siamo maturati tutti molto in fretta, e ci siamo sempre aiutati".

Ha qualche ricordo particolare?

"Ho preparato i miei esami all'università con Cesare seduto su una poltrona di fianco a me. Accendeva e spegneva in continuazione la luce. Un fastidio? Affatto, anzi lui magari nemmeno lo sa, ma mi è stato d'aiuto: quando la lampada era spenta usavo quel tempo per interiorizzare certi concetti. Altre volte ci ha distrutto documenti, tesine, perché non vuole oggetti intorno e quando vede i fogli tende ad accartocciarli. 'Non lascia pietra su pietra' ripete sempre mia madre".

Vi siete mai arrabbiati?

"Con lui mai, piuttosto abbiamo imparato: 'La prossima volta non lascerò carte in giro', ci dicevamo".

E oggi?

"Con terapie mirate, create sulla base delle sue esigenze e grazie alle grandi eccellenze in psichiatria che abbiamo a Cagliari, è migliorato tanto. L'aggressività non c'è più. E noi non abbiamo mai fatto di testa nostra, ma seguito sempre le direttive degli specialisti con tanta pazienza. I risultati arrivano ma bisogna saper attendere".

Cesare davanti alla Sella del diavolo, Poetto, Cagliari
Cesare davanti alla Sella del diavolo, Poetto, Cagliari
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L'autismo fa ancora paura.

"Fa più paura non parlarne. I nostri genitori hanno avuto altri tre figli, dopo Cesare, e per noi questo è stato l'esempio più grande. La positività può avere la meglio, ma per farlo bisogna coltivare nella comunità questo tipo di sensibilità. Di sicuro è aumentata la conoscenza, c'è una grande cultura grazie alle associazioni sul territorio che hanno coinvolto le famiglie, hanno mostrato chi sono le persone con autismo anche nelle scuole. Continua ad esserci una difficoltà in termini di servizi, questo è da dire. Da parte mia mi metto sempre a disposizione, bisogna far partire un dialogo, una sinergia tra tutti i componenti della società e con professionisti competenti per creare una vera rete".

E gli autistici suscitano paura negli altri?

"A volte avverto questa sensazione nei confronti di mio fratello, soprattutto dettata dalla non conoscenza. Quando incontriamo qualcuno, che sappiamo avere un disturbo, spesso gli andiamo incontro, gli stringiamo la mano, lo abbracciamo. Ma non sappiamo quale sarà la reazione, ognuno è diverso. Un contatto fisico può non essere vissuto bene, quindi è importante avere un'attenzione in più. La paura è legittima, non stigmatizzo. È un sentimento nobile attraverso cui passare per avvicinarsi".

Quali sono le preoccupazioni per il suo futuro?

"Abbiamo la speranza che l'attuale centro diurno frequentato da Cesare si trasformi in realtà di vita per gli anni a venire, che si passi da una dimensione di intervento temporaneo alla sua casa. Lui ha bisogno di quel tipo di attenzioni, con personale preparato, con tutto realizzato ad hoc. Non è giusto pensare che siano le persone come Cesare a doversi adattare, perché i loro comportamenti non dipendono da proprie scelte".

Intorno all'autismo cspesso reticenza, pudore. Perché lei ha voluto raccontare di Cesare?

"Per aiutare quelle famiglie che vivono momenti di fragilità. Ho affrontato convegni, workshop, conferenze, incontri, ma per la prima volta ho voluto spiegare in prima persona quello che è l'autismo. C'è chi non sa come affrontarlo e chi pensa di essere solo. Tra pochi giorni, il 2 aprile, si celebra la giornata mondiale della consapevolezza dell'autismo, e vorrei ricordare quanto è già stato fatto e quanto è ancora da fare nei confronti degli adulti, e anche dei bambini, perché l'intervento precoce e immediato in questa patologia è fondamentale".

Sabrina Schiesaro

(Unioneonline)
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