Giorgio Liggi, 60 anni, di Monastir, guarito dal Covid-19 dopo un ricovero di 18 giorni a Genova, è finalmente a casa. Ma non tutto è andato liscio, nel rientro accordato giovedì dalla Regione dopo un primo diniego di tre giorni prima. «Il viaggio è stato una piccola odissea», racconta Liggi: «Dopo una traversata surreale in una nave con a bordo solo tre passeggeri più una decina di trasportatori, all'arrivo ad Olbia vengo fermato dalla Guardia di finanza: i militari mi contestano il fatto che risulto ancora negli elenchi nazionali in mano alle forze dell'ordine dei soggetti in quarantena, e devono sanzionarmi e bloccarmi per aver trasgredito le norme sulla quarantena. Dopo cinque ore bloccato sulla banchina del porto, alle 13,30 arriva l'e-mail dal direttore sanitario della nave ospedale Splendid di Genova che chiarisce l'equivoco e risolve definitivamente il problema».

Ora è tutto finito: come è stata la prima notte a casa?

«La prima cena a casa e la prima notte nel mio letto sono state felicità allo stato puro. Ho riscoperto valori che nella normalità della vita quotidiana sottovaluti e in questa situazione riscopri».

Si propone di fare qualcosa in particolare di cui ha sentito la mancanza?

«In queste settimane ho pensato a tante cose che avrei voluto fare, ma vista la seconda quarantena che ho davanti, e vista anche la debolezza che la malattia mi ha lasciato addosso, starò a casa con la mia compagna a riposarmi e dimenticare questa brutta avventura».

Quando ha cominciato a stare male?

«Quando la febbre ha iniziato a salire ero a Nizza. Ho capito che non era la solita influenza stagionale ma mi dicevo: non può capitare proprio a me. Poi una volta arrivato a Genova è subentrata la paura, ma non era nulla rispetto a cosa avrei provato una volta entrato al pronto soccorso dell'ospedale Galliera di Genova. Lì era terrore puro. Al tempo stesso mi sentivo fortunato perché riuscivo a respirare autonomamente. Stare tranquillo non era facile».

Cosa pensava durante i giorni e le notti in ospedale?

«Le notti erano insonni, tra i lamenti dei vicini di stanza che stavano peggio di me: dormivo di giorno. Crollavo sfinito della stanchezza. Ho sempre combattuto, nella vita: mi sono sempre rialzato. Questa volta però combattevo un nemico invisibile».

Ha pensato di non farcela?

«Sì, ho pensato anche al peggio. Poi, finalmente, dopo una settimana la mia situazione si è stabilizzata. Mi hanno mandato sulla nave-ospedale a fare la quarantena e mi si è aperto uno spiraglio di luce».

La domanda di rientro prima negata e poi concessa?

«Quando ho ricevuto il diniego al rientro in Sardegna mi è caduto il mondo addosso. Ero arrabbiato col mondo intero. Mi dicevo: sono fuori per lavoro, non chiedo nulla a nessuno e il premio è lasciarmi abbandonato a me stesso fuori dalla Sardegna. Rabbia, delusione, paura: un cocktail di sensazioni che vanificavano la felicità di aver sconfitto il coronavirus».

Cosa le ha lasciato la malattia?

«Ora che è tutto finito sono tranquillo, contento che in Regione abbiano compreso la mia situazione: dopo averla appresa dai media si sono adoperati per farmi rientrare nell'Isola velocemente».

Ignazio Pillosu

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