«Per favore, non chiamatelo "turismo" sanitario, i malati non si divertono neanche un po' ad andar fuori per farsi operare e curarsi. E come se non bastasse quello che devono affrontare in termini di salute, si trovano troppo spesso a dover combattere contro una burocrazia ottusa, contro un'applicazione della legge 26/1991 per le prestazioni fuori regione che fa acqua da tutte le parti, tanti si vedono sbattere le porte in faccia e allora rinunciano ai rimborsi che pure gli spetterebbero, pagano i "viaggi della speranza" per sé e chi li accompagna di tasca loro, magari grazie a tutti i familiari che si quotano, altrimenti le spese sono insostenibili». Francesca Dettori, portavoce dell'Associazione diritto alla salute Franco Monagheddu, lotta quotidianamente per aiutare i pazienti sardi che emigrano al Nord per un intervento chirurgico, un ricovero, ma ormai anche per la specialistica ambulatoriale. Dice: «La gente deve essere assistita bene qui, ma una volta che si parte, per "inadeguatezza e intempestività" delle cure nell'Isola, allora bisognerebbe supportarla, così come appunto prevede la norma, e non dare interpretazioni, tra l'altro diverse da Asl ad Asl, che mettono paletti e dinieghi».

Una "mobilità passiva" che riguarda oltre 14mila sardi e un saldo economico che grava sulle casse della Regione: soltanto per i ricoveri, l'ultimo dato Agenas (del 2023) riporta uno sbilanciamento in negativo di 56.999.718, con un indice di fuga che supera l'8%. L'anno precedente era di 50,2 milioni, nel 2021 di 40,9 milioni, nel 2020 di 34,8 milioni (ma questi sono gli anni del Covid, e c'è stato un notevole rallentamento), nel 2019 di 55 milioni, nel 2018 di 53 milioni.

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